"Prevenzione del Rischio idraulico e risanamento delle acque: Un nuovo ruolo per la Pianificazione Territoriale" - M. Pizzato - L. Rampado

Non desiderate che la natura si accomodi a quello che parrebbe disposto e ordinato da noi, ma conviene che noi accomodiamo l’interesse nostro a quello che ella ha fatto, sicuri tale essere l’ottimo e non altro.” (Galileo Galilei)

Sicurezza idraulica, qualità delle acque e riqualificazione ambientale sono gli elementi che è necessario coniugare ed introdurre nella Pianificazione territoriale per poter ridurre l'attuale situazione di dissesto e degrado idraulici. Quello proposto è un approccio di come si possa assicurare la sicurezza del territorio partendo dalla Pianificazione a scala vasta (macro) fino ad arrivare ad interventi puntuali (micro), e contribuendo nell'insieme a definire la Pianificazione compatibile con l'ambizioso, ma non irrinunciabile obiettivo di trasformare il "disequilibrio stabile" in un "equilibrio dinamico", come saggiamente seppero fare per secoli i nostri padri.


Le nuove regole dettate dal territorio
Gli avvenimenti e le vicende che coinvolgono il territorio in questi ultimi tempi non possono che allarmare la popolazione e prospettare nulla di rassicurante per il futuro. Basta che in autunno piova consecutivamente per qualche giorno e subito si verificano frane, alluvioni ed allagamenti; se in estate poi non piove, subito si presenta il problema dell’inquinamento e della  siccità. Sono ormai fenomeni che si verificano con una certa frequenza, con un’ intensità non più trascurabile ed in aree sempre più ampie, alcune delle quali storicamente prive di “memoria storica” proprio rispetto a questo tipo di fenomeni. Complici, spesso indicati dai più come i soli colpevoli, sono sicuramente i cambiamenti climatici che hanno interessato il pianeta in questi ultimi decenni. Tuttavia, considerata l’intensità, la frequenza e l’estensione di tali fenomeni, la sola scusante climatica non basta più. Occorre fermarsi invece e ragionare su chi e su che cosa sia la vera causa di tali problematiche e soprattutto sulle modalità d’intervento per operare un’adeguata previsione, prevenzione e mitigazione delle stesse.
Esistono a tal proposito delle misure di salvaguardia e delle procedure che cercano di ovviare a queste problematiche in maniera immediata, diretta, che si rifanno in ultima analisi all’affermata tradizione della scuola dell’idraulica italiana.
Ma basta tutto questo a prevenire queste situazioni di rischio, degrado e dissesto? E a questo proposito, come può la Pianificazione Territoriale, Urbanistica ed Ambientale farsi carico di questa responsabilità e dare un significativo contributo con gli strumenti di cui dispone?
Convinzione di chi scrive è che sia possibile garantire lo sviluppo armonico di un territorio complesso, attraverso un’attenta Pianificazione, che faccia propri due obiettivi irrinunciabili e di grande attualità: la prevenzione del Rischio Idraulico e il Risanamento delle Acque.
L’approccio proposto da seguire rovescia il tradizionale modo di Pianificare a scala vasta cercando, invece di partire dall’individuazione e progettazione di nuove infrastrutture ed espansioni residenziali e produttive, di capire cosa il territorio possa offrire, quale sia la sua capacità portante e soprattutto con quali accorgimenti si possano operare delle scelte progettuali compatibili sul territorio stesso.
Dunque è il territorio naturalmente e storicamente affermatosi che “detta le regole”, ed è a partire dalle risposte che esso dà ad ogni sollecitazione, che si deve capire cosa si può fare e cosa non si può fare. Con questo principio si dovrà impostare un lavoro di analisi in grado di stabilire le compatibilità e le invarianti territoriali.
Dal “Disequilibrio stabile” all’ “Equilibrio dinamico”
Osservando il territorio, nello specifico la parte compresa tra le città di Venezia, Padova e Treviso, cosiddetta “città diffusa”, che per molti aspetti rispecchia gran parte della situazione del Veneto, quelle che erano storicamente le aree "sfavorevoli", perché soggette alle esondazioni, venivano utilizzate per attività meno vulnerabili (di minor pericolosità) come la pastorizia, il bosco, il prato. La cultura secolare dell’acqua, posseduta da chi il territorio lo viveva quotidianamente e che ben sapeva come comportarsi e come tutelarlo, sembra oggi andata perduta. La situazione infatti è notevolmente cambiata: da un lato le nuove tecniche di regimazione delle acque hanno permesso di limitare al massimo lo spazio occupato dalla rete idrografica, irrigidendone la struttura naturale per poterne sfruttare il più possibile la superficie territoriale, inizialmente occupata dall’agricoltura ed oggi molto spesso anche da aree urbanizzate; dall’altro le attività commerciali e industriali che, unite a nuove urbanizzazioni residenziali si sono e si stanno ormai espandendo in tutto il Veneto, aumentando indiscriminatamente le superfici impermeabilizzate, con l'unica logica di allontanare il più velocemente possibile le acque e senza preoccuparsi delle conseguenze di questo maltrattamento del territorio.
La condizione attuale definita per questa situazione è quella di "disequilibrio stabile", ovvero una situazione nella quale il territorio è costantemente soggetto a fenomeni di dissesto e degrado idrogeologico e nonostante questo continuano ad espandersi le superfici impermeabilizzate, si continua a tombinare fossi, ad eliminare siepi e filari per far posto all'agricoltura intensiva e a "puntellare" le situazioni di rischio ricorrendo a interventi a valle del problema con scolmatori e idrovore per gli aspetti meramente quantitativi, a depuratori per gli aspetti qualitativi.
Metodologia: l’approccio per Bacini Idrografici
Pianificare non è facile, soprattutto in aree, come quella veneta, dove culture ed interventi secolari si sono succeduti, sommandosi ed intrecciandosi. Per evitare interventi errati e controproducenti, occorre innanzitutto fare chiarezza su che cosa sia il territorio oggi e soprattutto sull’individuazione di un criterio inequivocabile di lavoro.
L’unico modo (ma non per questo oggi lo si applica regolarmente nella Pianificazione, soprattutto locale) per affrontare correttamente l’aspetto del rischio idraulico e del risanamento delle acque, è quello di calare gli elementi territoriali in un’ottica adeguata alla situazione che si stà studiando.
La consapevolezza delle complessità del territorio e della frammentazione tra più competenze di ordine diverso, che storicamente non sono mai riuscite a dare unità pianificatoria all'area, ha spinto alla ricerca di una via che fosse la più oggettiva possibile, che non fosse viziata da preesistenti divisioni antropiche (come appunto confini comunali o provinciali), ma in qualche modo dettata dall'azione della natura. Per questo motivo si è giunti alla scelta del bacino idrografico quale unità di riferimento territoriale.
  
Si rende pertanto necessario stabilire all’interno dello stesso territorio una gerarchia tra diversi bacini, senza la quale qualsiasi lavoro perde di significatività e credibilità. Sintetizzando si possono distinguere due categorie di bacini idrografici, ai quali è possibile collegare problematiche diverse: da un lato i bacini facenti capo alla rete delle acque alte, dall’altro quelli facenti capo alla rete della acque medio - basse. Tale separazione è indispensabile in ogni tipo di indagine e successivo intervento pianificatorio: se infatti nei confronti della pericolosità derivante dalla rete delle acque alte, la pianificazione locale può agire solo in termini passivi, adeguandosi alle prescrizioni derivanti dagli strumenti sovraordinati (Piani di Bacino e Piani Stralcio elaborati dalle Autorità di Bacino), nei confronti della pericolosità derivante dalle acque medio-basse le cose cambiano. In questo caso la pianificazione gioca un ruolo attivo: con le sue scelte può infatti incidere significativamente sull’appesantimento della rete idraulica, sulla generazione di onde di piena sempre più grandi, sulla compromissione del sistema idraulico nel suo complesso, su fenomeni di allagamento locale.
La Pianificazione Territoriale: la fase analitica
Chiarita l’entità territoriale che deve essere indagata si procederà con la definizione degli aspetti caratterizzanti il territorio, cercando di pervenire ad una “diagnosi” che metta in evidenza i punti più critici e le caratteristiche strutturali del territorio. Le fasi da considerare sono le seguenti:
  1. approfondimento delle tematiche connesse al Rischio Idraulico e al Risanamento delle Acque, enucleando da queste e dai contribuiti specifici dei professionisti gli aspetti più interessanti e importanti da tener presente nell'ottica della Pianificazione Territoriale;

  2. analisi storica del territorio, condotta verosimilmente dall'epoca pre-romana ad oggi, per capire il come e il perché si è giunti oggi a un sistema territoriale e idraulico così complesso;

  3. analisi strutturale del Territorio: Acque e Terre profonde e superficiali e climatologia, per trovare conferme e regole sul territorio e supporti per la proposta finale;

  4. analisi antropica, soffermandosi sull'evoluzione dell'uso del suolo a partire dagli inizi dell'800 sino ad oggi, e sull'evoluzione insediativa dal dopo guerra ad oggi, per capire come le trasformazioni del territorio siano avvenute e soprattutto secondo quali regole;

  5. analisi dei problemi attuali dell'area: definite le caratteristiche strutturali del territorio e la sua evoluzione e l'attuale assetto raggiunto, si è voluto analizzare le principali problematiche, in modo particolare quelle legate alla risorsa acqua;

  6. analisi delle competenze sul territorio e sulle acque, per capire "chi fa che cosa" e soprattutto la complessità della questione pianificatoria.

Ogni elemento di analisi andrà sviluppato in modo tale da dare un contributo specifico al filo conduttore del lavoro: il Rischio idraulico e il Risanamento delle acque; così per esempio dalla carta pedologica sarà derivata un carta della permeabilità, la carta altimetrica verrà tradotta in carta del deflusso superficiale, quella morfologica in analisi delle barriere al deflusso, quella idrografica in struttura delle acque, e così via.
Ogni contributo, derivante da esperti diversi e spesso prodotto settorialmente, deve portare a concretizzare maggiormente la comprensione dei motivi degli allagamenti e dei fenomeni di inquinamento.
Dalle analisi condotte sarà così possibile sintetizzare da un lato gli Aspetti strutturali del territorio e dall’altro le Problematiche in esso presenti, potendo così giungere alla definizione inequivocabile delle invarianti territoriali e soprattutto suggerendo le compatibilità alle trasformazioni.
La Pianificazione Territoriale: proposte d’intervento
Nuovo compito della Pianificazione deve essere a questo punto quello di dare contemporaneamente soluzione ai problemi presenti (rischi, degradi e dissesti) e risposte alle esigenze delle popolazioni (fabbisogni, attività produttive, ecc.).
Per far questo la proposta progettuale dovrà prevedere l’individuazione nei corsi d’acqua dei veri e propri sistemi, le strutture portanti del territorio, sulle quali dovranno innervarsi tutte le altre attività di programmazione e pianificazione. Il corso d’acqua non più visto nell’ottica di corpo d’acqua compreso tra due argini, avulso spesso dall’ambiente circostante, ma piuttosto in quella di sistema connesso ad un territorio che per struttura pedologica, geomorfologica, idrogeologica, storica, ecologica è molto più ampio della mera asta fluviale. In questo modo è possibile assicurare un adeguato margine di sicurezza quali-quantitativo poiché entro gli ampi ambiti fluviali, intesi a scala vasta, le attività antropiche presenti e previste possono cominciare già ad essere regolate in modo specifico. Si rende poi necessario comunque coniugare anche il resto del territorio, esterno a questa prima definizione a maglie larghe, poiché trattandosi di un sistema, tutti gli elementi sono tra loro interconnessi. In quest’ottica assume un ruolo fondamentale la gestione del territorio extraurbano, nella maggior parte dei casi occupato da attività agricola. Il mantenimento di determinati assetti idraulico-agrari, la garanzia di grandi capacità di invasi superficiali o in alternativa una loro sostituzione con altri di eguale entità, sono aspetti di vitale importanza se si vuole assicurare già a monte un’adeguata risposta del territorio sia alle precipitazioni sia elle fonti di inquinamento, soprattutto diffuse (pesticidi, nutrienti, ecc.).
Ed infine la pianificazione e progettazione urbanistica delle esistenti e nuove aree residenziali e produttive. Innanzitutto la necessità di nuove espansioni deve essere motivata e risultare inevitabile, tale da giustificare un elevato carattere di interesse pubblico. Laddove si realizzeranno nuove espansioni si dovrà ricorrere in prima istanza all’individuazione di aree più idonee di altre, evitando di realizzarle in aree strutturalmente critiche. Si prevedranno poi sistemi insediativi a densità variabili e con elevati rapporti di superfici scoperte e permeabili: verde pubblico e privato, parcheggi drenanti, ecc. Si farà inoltre ricorso a tutte quelle nuove tecnologie ed espedienti sperimentati negli ultimi anni: dalla realizzazione di invasi sotterranei, alla regolazione tramite pozzetti a deflusso controllato, all’utilizzo delle aree verdi come zone di laminazione temporanea.
Tutto quello proposto può e deve essere un Compito irrinunciabile per la Pianificazione, poiché esistono i mezzi e i modi per poterli attuare.
Considerazioni finali: la compatibilità idraulica ad un livello superiore
 
Quello suggerito è un approccio che può essere riproposto su qualsiasi territorio. La sua attuazione è però subordinata all’esistenza di una corretta programmazione territoriale sovraordinata, in grado soprattutto di contrastare lo sprawl urbano che viene a determinarsi attraverso le pianificazioni comunali. Bisogna riconoscere che tali pianificazioni sono pianificazioni “con i paraocchi”, ovvero elementi di espansione incontrollata, non coordinata e molto spesso soggetta ai soli interessi economici.
L’evoluzione normativa in materia territoriale ha vissuto, soprattutto nell’ultimo decennio, un processo di diversificazione di enti e strumenti competenti sul territorio; la legge 183/1989, la legge 142/1990, i decreti Bassanini e le recenti disposizioni sul passaggio di competenze alla Regione in materia idraulica hanno impresso una svolta decisiva sul panorama gestionale del territorio. L’Autorità di Bacino, pur con non pochi problemi è riuscita ad imporsi sul panorama nazionale, ma non è ancora sufficiente. Le sue competenze sono confinate entro i bacini perimetrati ai sensi della legge, che spesso escludono porzioni significative del territorio veneto, come avviene ad esempio per gran parte del bacino scolante. È pur vero che garantiscono un’adeguata considerazione dei problemi relativi al Rischio acque alte, ma molto spesso le perimetrazioni dei Piani Stralcio non riescono ad addentrarsi in territori soggetti a sofferenza idraulica ancora maggiore, che vanno in crisi per precipitazioni anche non intense, che non provocano certamente danni in termini di vite umane perse ma spesso e volentieri allagamenti per milioni di euro. I Consorzi di bonifica dovrebbero, quali conoscitori della realtà locale e della rete delle acque medio – basse, della quale sono gestori, avere in tali circostanze maggiore potere in materia pianificatoria, mettendo le conoscenze del territorio e le competenze in materia idrica-idraulica a servizio degli enti preposti allo sviluppo urbanistico programmato. Il problema è che il potere che doveva essere garantito ai Piani Generali di Bonifica non è mai stato attuato correttamente, cosicché il ruolo di questi enti si limita molto spesso al rilascio di pareri o di indirizzi generali per la pianificazione che vengono di volta in volta scavalcati.
A partire dal 2002, con la Delibera della Giunta Regionale del Veneto n° 3637/2002, che imponeva ad ogni variante degli strumenti urbanistici una valutazione di compatibilità idraulica, c’è stato un primo tentativo coraggioso di inserire il tema della prevenzione del rischio idraulico nella Pianificazione tradizionale. Successivamente la stessa D.G.R.V. n° 3637/2002 è stata integrata e sostituita da altre Delibere sino ad arrivare alle ordinanze emesse dal Commissario delegato per l’emergenza concernente gli eccezionali eventi meteorologici del 26/09/2007. L’interrogativo è volto all’applicabilità concreta delle disposizioni, ovvero da un lato che la valutazione di compatibilità idraulica diventi un elemento ancor più pedante nella progettazione urbanistica, rischiando di renderlo piatto ed inefficace (soprattutto per interventi che non hanno motivo di avere una compatibilità idraulica, per esempio intereventi in aree aventi una pericolosità idraulica indotta dall’esterno e/o per carenze strutturali esogene ed edongene); dall'altro l’eventualità che non si riesca ad adottare in maniera univoca i criteri di compatibilità, proprio perché manca uno studio affrontato a livello territoriale d’area vasta (quindi la compatibilità sarà basata esclusivamente su criteri idraulici e idrologici e non territoriali).
La soluzione va ricercata in un corretto uso degli strumenti a disposizione, in un dialogo maggiore tra Autorità di Bacino – Regione – Provincia - Consorzi di Bonifica – Comuni – Enti gestori reti fognatura, con la predisposizione di strumenti urbanistici sviluppati in un’ottica di prevenzione del Rischio idraulico e Risanamento delle Acque.
A tale scopo un Piano d’Area, che si ricolleghi e faccia proprie sia le tematiche derivanti dall’Alto (Piani di Bacino) che dal Basso (realtà locali) potrebbe essere la scala giusta per poter definire un programma comune di prevenzione e soprattutto delle regole territoriali alle quali ogni singolo comune possa attenersi.