Marina Dragotto, "A chi serve la città"

(di Daniele Rallo)

Scrivere una recensione parlando di Marina Dragotto è molto difficile. E’ molto difficile perché è impossibile non ricordarsi il suo sorriso. E’ impossibile pensare che non potrà risponderti e intavolare un discorso-critica con te. E’ impossibile ma doveroso. Marina era super attiva. Non si fermava mai. A chi serve la città è un libro-intervista con Federico Della Puppa. Marina e Federico sono due Urbanisti. Marina perché ha frequentato la scuola di Astengo e lì si è laureata. Federico, pur essendo un forestale, è considerato de-facto un Urbanista in quanto ha sempre lavorato su temi di economia territoriale.

 

Il libro si snoda su un percorso lineare che fanno tutti i progettisti: andare, camminare, lavorare. Il mestiere dell’Urbanista è tutto qui. Bisogna conoscere la città ed il territorio, bisogna frequentarlo a piedi, bisogna catalogare temi e problemi, bisogna trasformare in opportunità e scelte progettuali le cose che non funzionano. Marina si concentra soprattutto sulla città costruita, sulla città che deve essere trasformata con le operazioni di rigenerazione urbana, con la riprogettazione degli spazi aperti, con la fruibilità degli stessi da parte di tutti i cittadini. La conclusione è semplice: la città serve ai cittadini. Ma a tutti i cittadini senza alcuna esclusione. La città deve essere inclusiva. Nella città tutti devono avere il diritto di camminare o andare in bicicletta in sicurezza. Tutti devono avere il diritto di respirare l’aria buona al fresco di una isola di alberi e non attorno ad un isola di calore.
Tutto questo Marina lo racconta con esempi concreti che ha incrociato durante la sua esperienza nella Associazione AUDIS, nel Centro ricerche della Provincia di Venezia COSES, nella sua attività presso l’ufficio Piano Strategico del comune di Venezia ed in tutta la sua attività di ricerca.
Venezia era diventata la sua casa. “Sono capitata a Venezia per caso, per studiare, ma senza averci pensato troppo, e mi ha accolta come accoglieva tutti gli altri studenti, che si adattavano a condividere case fatiscenti in un luogo che è assolutamente affascinante.”
Da una città affascinante è partita per visitare e studiare la periferia della città. Ma anche in questi luoghi sapeva cogliere con l’entusiasmo del ricercatore quello che c’era di positivo. Quello su cui gli Urbanisti devono sforzarsi di lavorare, di progettare, di ri-progettare. “Sono partita dal chiedermi cos’è oggi la periferia nelle città italiane, quale ruolo e potenzialità hanno nella città contemporanea e se la cultura della rigenerazione urbana è un potenziale di bellezza. La sintesi è che la bellezza delle periferie sta nel loro capitale sociale e nel loro divenire. Nell’essere loghi di potenziale trasformazione fisica, anche radicale, contrapposti a centri storici purtroppo ingessati.”
L’amore per la città ma in sostanza è l’amore per il proprio lavoro. L’Urbanista deve pensare in grande, deve avere una idea di progetto che non può essere solo un tecnicismo ma deve avere un riferimento elevato. Un progetto sociale. Un progetto di salvaguardia e di trasferimento del bene “comune” territorio alle future generazioni. Il presente per amare ed il futuro per sperare sono i titoli di due dei capitoli del libro.  

Mi piace sottolineare che Marina è il classico “prodotto” che aveva in mente il prof. Astengo quando ha fondato la scuola di urbanistica nella seconda metà degli anni ’60. L’Urbanista deve essere un tecnico specializzato nell’ascolto della città, nella progettazione della città, nella gestione della città e, ovviamente, del territorio. Astengo pensava ad una figura di professionista tecnico che sapesse interpretare le dinamiche sociali ed economiche ma anche le dinamiche politiche. Il luogo di lavoro ideale doveva essere di preferenza l’ufficio pubblico.  Marina è stata tutto ciò (1).

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(1) Marina è stata impegnata anche politicamente sempre con spirito critico e mai con il paraocchi. Ricordo che una volta mi chiamò da un giorno per l’altro per gestire un focus-group per i Dem per parlare della fattibilità economico-finanziaria del progetto per la città. Naturalmente per amicizia assentii ma una stanca platea non era particolarmente attenta. Solo uno, un compagno di base (a quel tempo si diceva da rottamare), mi seguì particolarmente ricordandosi come negli anni 70 la “riforma” Bucalossi aveva fatto sperare ad un avvio della riduzione/controllo della rendita. Con entusiasmo decidemmo che comunque era andata bene.