Urbanistica Informazioni

Im(Previdenza)

Daniele Rallo e Luca Rampado – UI n. 301 – gennaio-febbraio 2022     

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La “pensione” è un argomento che non si affronta volentieri, soprattutto da “giovani”. L’età pensionabile sembra lontana negli anni post-laurea, altri sono i problemi da affrontare per entrare nel mondo del lavoro autonomo professionale. Con l’arrivo dell’età pensionabile ci si avvicina tuttavia al problema — ma solo — di calcolare quando e con quanto si potrà entrare in quella condizione. È allora che ci si accorge di aver sottovalutato il problema. Ormai è tardi. Solo allora ci si accorge che il patto generazionale non ha funzionato o sta funzionando a velocità diverse. Le differenze che si creano tra lavoratore autonomo-professionista e lavoratore dipendente-subordinato sono notevoli. E tutte a favore di quest’ultimo.

Le riforme (cosiddette) sul tema della pensione che si sono succedute negli ultimi cinquant’anni sono state numerose, nessuna però veramente risolutiva e paritetica.

Da una parte il libero professionista (anni sessanta-settanta), con il lavoro autonomo e con le alte parcelle, poteva nel corso della sua attività accumulare un capitale che gli permetteva di avere in sostanza un reddito garantito oltre il livello professionale.

Dall’altra parte il lavoratore dipendente con i diritti acquisiti grazie alle lotte del sessantotto ha raggiunto una previdenza più che dignitosa, alla quale si aggiunge la “buona-uscita” di fine rapporto (TFR) che diventa una sorta di integrazione al reddito da pensione o accumulazione che permette di acquisire un alloggio.

In tutto ciò le uscite per pagare le pensioni erano compensate dalle entrate dei versamenti dei giovani.

Questo sistema si è in parte modificato per i cambi strutturali legati al processo economico, per il cambio demografico particolarmente pesante nel nostro Paese, ma anche per il cambio gestionale del concetto su cui si basava il calcolo pensionistico. Dal sistema retributivo si è passati al sistema contributivo, perlomeno in buona misura. La quota pensionistica calcolata con il sistema contributivo fa sì che questa sia pari, grosso modo, a quanto versato dal contribuente nella sua vita lavorativa, rapportata all’inflazione e corretta con gli interessi da capitale. In sostanza, semplificando, se il versamento medio di un iscritto (architetto, pianificatore, ingegnere, ecc.) ad Inarcassa si aggira attorno ai diecimila euro, la stessa cifra — o poco più — ritornerà al pensionato: meno di mille euro al mese.

Diversamente per il lavoratore dipendente, che ha una ritenuta alla fonte più elevata ma la dinamica tra reddito netto e lordo, costi accessori a carico del datore di lavoro — tra cui anche la parte maggiore (oltre i due terzi) dei contributi previdenziali — fa sì che, a fronte di un reddito netto costante e varie altre garanzie che il lavoratore autonomo non ha, anche la pensione risulterà essere perlomeno accettabile. Questo chiaramente a condizione che l’anzianità di contribuzione sia sufficiente e che i livelli di reddito fossero anch’essi più o meno sempre accettabili durante la vita lavorativa.

Viceversa, i liberi professionisti con i cosiddetti decreti Bersani di liberalizzazione del mercato (Governo Prodi prima e Governo D’Alema poi) hanno visto abolire le tariffe minime professionali, lasciando la contrattazione al rapporto cliente/privato o, se si tratta di gare pubbliche, alla “offerta economicamente più vantaggiosa” o addirittura al massimo ribasso. La conclusione pratica è che nel lavoro legato alla libera professione di architetto, pianificatore, ingegnere, ecc. oggi, molto spesso, non è garantito minimamente il “giusto compenso” (1). Su questo tema alcune regioni hanno tentato di introdurre un correttivo ma che ha avuto scarsa applicazione (2).

Un grido d’allarme

Tutto ciò premesso, il presidente di Inarcassa ha, coraggiosamente, lanciato un grido d’allarme nell’editoriale dell’ultimo numero della rivista omonima (Santoro 2021). Già il titolo è significativo: “L’imprevidenza e il coraggio di guardare avanti”. L’analisi e la conclusione sono impietose ma oggettive. L’editorialista afferma che “[…] se non riprendiamo a ragionare sul nostro futuro […] aprendo i nostri recinti per vedere come attrarre professioni che si riconoscono negli Ordini e che pure hanno bisogno di una loro previdenza, allora anche noi rischieremo di cadere nella più nefasta delle imprevidenze”.

È un grido di dolore che conclude affermando: “Le professioni sono circoscritte ad ordinamenti superati: […]. Noi ingegneri e architetti risaliamo al 1923. Ecco, nel 2023 il nostro ordinamento compirà 100 anni. Sarebbe una scadenza importante per cambiare il volto della previdenza legata a queste professioni. Altrimenti si parlerà sempre più spesso di imprevidenza, ovvero dell’impossibilità di poter esercitare tutele sociali per il futuro dei liberi professionisti.” In sostanza si rischia la bancarotta! Quando il numero dei pensionati supererà quello degli iscritti si rischia di non poter più garantire la pensione alle nuove generazioni.

La cassa degli architetti, come quella dei geometri, non versa in buone condizioni. Significativa l’analisi del Sole 24 Ore (Cherchi, Landolfi e Uva 2020): “C’è un buco nelle pensioni dei liberi professionisti iscritti alle casse private. Una voragine di oltre 4,6 miliardi di contributi non versati dai singoli iscritti che getta un’ipoteca sulle loro future pensioni. Un problema destinato […] ad aumentare nel prossimo futuro con l’ulteriore crisi dei redditi provocata dal Covid.” La situazione non è uguale per tutte le professioni. Per esempio, la cassa dei notai, che possono applicare tariffe fisse garantite, è più che buona. A differenza delle professioni legate all’edilizia e alla crisi connessa, che ha portato la cassa dei geometri ad accumulare un debito di oltre un miliardo e quella degli architetti a “918 milioni di morosità contabilizzati nel bilancio 2019” (ibidem). Entrambe le casse pesano per circa il 50% sul totale del “buco”.

Che fare?

L’allarme lanciato dal Presidente Inarcassa non può rimanere inascoltato. È indispensabile aprire un dibattito a tutto campo, partendo dall’Associazione degli enti previdenziali privati (ADEPP) che riunisce tutte le libere professioni e che interloquisce direttamente con Ministero e Governo. Può essere utile, in questo contesto, consultare l’ultimo Rapporto ADEPP sulla previdenza privata (ADEPP 2021). Ma il dibattito deve essere allargato anche alle associazioni che riuniscono molte professioni non incluse in albi professionali e che dalla Riforma Dini degli anni ottanta si ritrovano all’interno dell’INPS, associate alla gestione separata, istituita nel 1995, o in altre gestioni per lavoratori subordinati.

È il caso degli urbanisti alias pianificatori territoriali e pianificatori iunior nella dizione post 2001 — la base sociale dell’ASSURB — che, assieme ai paesaggisti e ai conservatori, si sono ritrovati ope legis nell’Albo degli architetti, con l’occasione riorganizzato, strutturato in sezioni e settori, nonché rinominato in “Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori”. Pur non essendo né architetti né ingegneri, pianificatori, paesaggisti e conservatori sono stati obbligati, per poter esercitare la libera professione, a iscriversi prima all’Ordine e di conseguenza a Inarcassa, mentre sino a prima (2001) erano iscritti alla cassa INPS degli autonomi, con una platea di iscritti sicuramente dieci volte superiore e inoltre garantita dallo Stato. Viceversa, i laureati in scienze informatiche, a differenza degli ingegneri informatici, possono continuare a essere iscritti all’INPS. Inarcassa, nonostante le richieste, non ha modificato il suo statuto specificando che le nuove figure entrate ope legis non sono né architetti né ingegneri.

Ha ragione Santoro quando afferma che “le professioni sono circoscritte ad ordinamenti superati”, elencando poi gli anni della loro costituzione: avvocati e procuratori legali 1874; giornalisti 1908; medici 1910; notai 1913; ingegneri e architetti 1923. È forse il caso di pensare di eliminare sia gli ordini, anomalia europea, sia di conseguenza le casse private e confluire in un'unica cassa pubblica o perlomeno permettere ai contribuenti di poter liberamente scegliere tra le due opzioni: pubblico/INPS – privato/Casse. In un libero mercato anche le Casse private saranno costrette a competere e a dare maggiori servizi o maggiori prestazioni e soprattutto maggiori garanzie di sostenibilità finanziaria a parità di contribuzione.

Professione / cassa Credito scaduto
(milioni di euro)
Geometri 1.169
Architetti/ingegneri 918
Avvocati 535
Ragionieri 507
Commercialisti 403
Medici/dentisti 294
Infermieri 239
Consulenti del lavoro 110
Psicologi 96
Periti industriali 70
Pluricategoriale 65
Veterinari 61
Farmacisti 58
Periti agrari 43
Giornalisti 39
Biologi 24
Totale 4.631

Tab. 1. Il “buco” delle casse private. Crediti scaduti (Fonte: Cherchi, Landolfi e Uva 2020)


Note

  1. Si veda Urbanistica Informazioni n. 247/2013 e 283/2019.
  2. Urbanistica Informazioni, ibidem.

Riferimenti

ADEPP – Associazione degli enti previdenziali privati (2021), XI rapporto ADEPP sulla previdenza privata, Centro studi ADEPP, Roma.

Cherchi A., Landolfi F., Uva V. (2020), “Buco da 4,6 miliardi nelle pensioni dei professionisti”, Il Sole 24 Ore Norme & Tributi del 21 ottobre 2020, Milano, https://www.ilsole24ore.com/art/buco-46-miliardi-pensioni-professionisti-ADixj5v.

Santoro G. (2021), “L’imprevidenza e il coraggio di guardare avanti”, editoriale di Inarcassa welfare e professione – Trimestrale della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, n. 49 (3), p. 5, Roma, https://rivista.inarcassa.it/wp-content/uploads/2021/12/x-web_Inarcassa-3_2021-1.pdf.