Urbanistica Informazioni

L’intervento dell’ASSURB al seminario SIU sul tema Riforma dei saperi

Nadia Caruso e Chiara Panigatta – UI n. 307 – gennaio-febbraio 2023     

Scarica l’articolo in formato PDF.


Uno degli aspetti probabilmente meno “notabili” della professione dell’urbanista è quello della formazione delle norme. Le regole del gioco passano sempre in subordine rispetto alla forma della città, ovvero l’aspetto grafico prevale sulla parte regolativa, e coinvolge meno, non solo per un retaggio antico che fa prevalere il designare come disegnare, rispetto alla prosaica normazione, mero elenco di affabulazioni ideologiche, o prono rispetto del sovraordinato acriticamente assunto o, ancora, mera copia consolatrice dello storicamente/geograficamente vicino. Eppure, questa subordinazione dovrebbe essere di fatto una collaborazione: anche etimologicamente la norma (che era la squadra) e la regola (che era il tiralinee) sono gli strumenti del disegno, forma del designare (che, a sua volta, è trasformare in segno, ovvero il dire, imporre la parola, in un fantastico cortocircuito logico).

Il 10 febbraio 2023 la SIU ha organizzato il seminario “L’urbanistica al tempo della riforma dei saperi. Valori, sfide, progetti di una disciplina in mutamento” presso l’Università degli Studi Roma Tre. La presidente dell’ASSURB, la Dott.ssa Chiara Panigatta, è stata invitata ad intervenire nella tavola rotonda pomeridiana, che approfondiva il tema in relazione al mondo del lavoro e della professione, insieme a presidenti e portavoce di ANCI, CeNSU, Urban@it, INU, Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori e Consiglio Nazionale degli Ingegneri.

La Riforma dei saperi proposta dall’ex Miur, oggi Mur, significa in primis la ridefinizione di un aspetto dell’accademia italiana: la messa in discussione delle declaratorie disciplinari di ogni settore, ovvero nel caso dell’urbanistica e della pianificazione, delle discipline distinte dai codici ICAR/20 e ICAR/21. Nell’ambito della riflessione coordinata dal CUN (Consiglio Universitario Nazionale), la SIU ha partecipato insieme ad altre associazioni e soggetti al processo di cambiamento delle definizioni dei due settori scientifico disciplinari, cercando di evitare un mero aggiornamento lessicale e tenendo conto delle diverse sensibilità.

Nella prima parte del seminario, si è affrontato il tema della Riforma dei saperi allargando lo sguardo oltre le declaratorie e mettendo in luce la necessità di considerare come l’insegnamento dell’urbanistica cambi di pari passo al cambiamento della società e del territorio. La discussione si è concentrata su elementi quali l’interdisciplinarietà e i percorsi di collaborazione, l’apertura e le specificità disciplinari della comunità scientifica, i temi e le aree di studio di pianificatori e urbanisti. La SIU propone un’articolazione in 14 temi rilevanti per il rinnovamento dell’insegnamento in parallelo al cambiamento della società e del modo di fare urbanistica[1]. Questi affrontano le diverse dimensioni di piani, processi e politiche nella formazione e insegnamento della pianificazione: dalla questione ambientale, il rischio e la resilienza, le diseguaglianze della società e delle comunità, le forme dell’urbano, i valori patrimoniali, le valutazioni di patrimoni naturali e culturali, le sperimentazioni di tecniche innovative per piani, programmi e progetti, le pratiche di condivisione, coproduzione e co-design, il paesaggio, il metabolismo e l’economia circolare, le aree interne, le aree in transizione e i territori in mutazione, i processi di finanziarizzazione e i loro impatti nei processi decisionali.

Trasferendo queste riflessioni nell’ambito professionale, la SIU ha rilanciato il dibattito sulle pratiche urbanistiche e l’attività progettuale, nelle sue diverse declinazioni: competenze e tecniche, ruolo nelle pubbliche amministrazioni, diverse prospettive disciplinari tra ingegneri, architetti e pianificatori.

Chiara Panigatta, intervenendo alla tavola rotonda, ha affrontato il tema del riconoscimento normativo del titolo di laurea per pianificatori e pianificatrici, come tassello fondamentale e prima vera affermazione delle competenze dei professionisti laureati in urbanistica e pianificazione. La riforma delle professioni, avvenuta più di vent’anni fa (D.P.R. 328/2001), ha permesso l’attribuzione formale di competenze in materia di pianificazione del territorio, del paesaggio, dell’ambiente e della città.

Come riportato nell’articolo del 2020 di Bonavero e Cassatella[2], sono numerosi i corsi di studio in pianificazione attivi in Italia. All’inizio degli anni 2000, a seguito della riforma delle professioni e della riforma universitaria (D.M. 509/1999) vi è stata una forte crescita nella numerosità dei corsi, (19 atenei, 23 corsi di primo livello e 12 di secondo livello), diminuiti fortemente nel decennio 2010 e attualmente di nuovo in fase di moderata ripresa. A questi corrispondono numeri di matricole annuali pari a circa 400-550 per i corsi di primo livello e tra 250-350 per i corsi di secondo livello, (dati 2020). Altro elemento da mettere in luce è la geografia dei corsi, che mostra una distribuzione diseguale dal punto di vista territoriale: i corsi di primo livello sono distribuiti abbastanza equamente nella penisola e nelle isole, mentre l’offerta di secondo livello è più concentrata in alcune aree e quasi assente in centro Italia.

Tuttavia, resta attuale il problema più generale della riconoscibilità della figura professionale nel mercato del lavoro, che da un lato sconta una sostanziale mancanza di volontà, da parte degli Enti preposti, di difendere e promuovere figure professionali con competenze specialistiche; dall’altro, non può prescindere dal coinvolgimento del sistema ordinistico di riferimento[3] per poter essere superato in maniera efficace.

Riprendendo ancora i dati citati da Bonavero e Cassatella (ibid.), se nel 2020 i pianificatori iscritti agli ordini provinciali erano circa 1800, a fronte di circa 15.000 laureati, erano numerosi coloro che sostenevano e superavano l’esame di stato (circa 120-160 ogni anno), in parziale controtendenza rispetto alla gran parte delle altre professioni ordinistiche. Sarebbe quindi rilevante aprire una riflessione sulle opportunità, lavorative e non, per i pianificatori abilitati all’esercizio della professione e per coloro che si iscrivono all’ordine professionale.

Inoltre, il pianificatore/la pianificatrice sono figure spesso ancora poco conosciute nel mondo del lavoro, scarsamente presenti negli enti locali. Soprattutto nei comuni più piccoli, potrebbero costituire un importante stimolo nella programmazione e nello sviluppo di strategie progettuali.

Queste problematiche si rispecchiano nella condizione occupazionale dei laureati. Le debolezze del mercato del lavoro sono evidenti nei dati riportati da Bonavero e Cassatella (ibid.): il 65-80% degli occupati lavora nel settore privato e il 10-20% nella pubblica amministrazione. Inoltre, “il tasso di occupazione dei laureati magistrali in pianificazione è pari al 65,8% ad un anno dal conseguimento del titolo, all’80,4% a 3 anni e al 90,1% a 5 anni, cioè inferiore al tasso di occupazione medio per le classi di laurea magistrale del gruppo disciplinare dell’architettura. A 5 anni dal titolo il divario risulta colmato. La retribuzione netta mensile, passando dai 1.164€ a un anno dalla laurea ai 1.457€ a 5 anni dalla laurea, risulta in linea o di poco superiore alla media delle professioni dell’architettura, anche se decisamente inferiore rispetto a quella di altre professioni liberali.” (ibid., p.105). Le diseguaglianze territoriali già citate precedentemente sono evidenti anche nell’occupazione, i dati occupazionali disaggregati per ateneo mostrano condizioni migliori al nord e al centro Italia. Questo squilibrio è stato ricordato anche dalla presidente SIU nel corso del seminario del 10 febbraio: la Prof.ssa Angela Barbanente ha sottolineato come negli ultimi trent’anni la retorica della competitività abbia aggravato le diseguaglianze territoriali e accademiche sotto il profilo della formazione, della didattica e della ricerca. Nelle sedi universitarie in cui vengono meno gli iscritti, anche le pratiche di ricerca divengono meno libere e autonome.

Chiara Panigatta ha poi affrontato nel suo intervento alcuni aspetti caratterizzanti la formazione del pianificatore/pianificatrice. La figura del pianificatore è interdisciplinare, flessibile e capace di dialogare con diverse professionalità, in grado di sviluppare ragionamenti complessi, anche in termini di programmazione e rendicontazione delle spese e dei bilanci degli enti pubblici. Tuttavia, si registra come debolezza dei corsi di studi in pianificazione, la mancanza di un approfondimento nelle discipline della pubblica amministrazione, sia in riferimento allo studio dei procedimenti amministrativi, che al tema della programmazione economico-finanziaria degli Enti. Quest’ultima interessa l’organizzazione dei lavori pubblici/la gestione del territorio, ma anche la programmazione degli investimenti e dei progetti strategici. Questi limiti influenzano l’inserimento e l’integrazione della figura del pianificatore nel mondo del lavoro e si riscontrano sia nel settore pubblico che nel mercato privato.

Per quanto attiene le opportunità di accesso nel pubblico, la mancanza di una base conoscitiva nelle materie amministrative si rivela come limite soprattutto nelle fasi concorsuali, generando una oggettiva difficoltà per gli Enti interessati ad assumere nuovo personale. La scarsa conoscenza dei meccanismi di finanza pubblica e delle procedure ha effetti anche nelle opportunità lavorative nel settore privato, soprattutto quando i temi progettuali da affrontare sono quelli della rigenerazione urbana o l’attuazione di proposte progettuali interamente finanziate o cofinanziate da fondi pubblici (regionali, nazionali o europei).

Ormai da diversi anni la redazione dello strumento urbanistico generale, quale atto di regolazione e regolamentazione in cui “disegnare” lo sviluppo urbano e organizzare visioni e strategie di medio e lungo termine, costituisce una porzione residuale del lavoro dei pianificatori. Dalla prima crisi del mercato immobiliare (2007-2008), infatti, non sono più i tempi dell'urbanistica attuativa (reiteratamente prorogati ex lege) che dettano l'agenda delle trasformazioni urbane e territoriali, ma i progetti di opere pubbliche finanziati attraverso bandi (regionali, nazionali o europei), o le procedure di variante puntuale allo strumento urbanistico generale e, più recentemente, le procedure “in deroga” allo strumento urbanistico generale.

Questo cambio di paradigma, che nell'intenzione del legislatore nazionale e regionale dovrebbe “velocizzare” l'attuazione dei progetti in nome della “semplificazione”, si scontra con diverse problematiche che potremmo definire endemiche al processo decisionale quali: la difficoltà di programmazione degli Enti Locali; la ridondanza delle fasi procedimentali; e, in generale, una scarsa propensione alla decisione intesa come assunzione di responsabilità.

All'interno dello scenario sopra descritto, il valore aggiunto che può (e deve) portare il Pianificatore Territoriale è la conoscenza del processo decisionale, unitamente ad una conoscenza normativa specifica ed alla capacità di parlare linguaggi diversi, fungendo da raccordo interdisciplinare.

Oggi la capacità di confrontarsi con la costruzione di progetti complessi, per diverse ragioni, costituisce ed assorbe una grande parte del mercato con cui si deve confrontare un pianificatore. I suoi committenti sono: pubbliche amministrazioni, enti (territoriali ma anche appartenenti al terzo settore), imprese e spesso anche altri professionisti, che appartengono alla famiglia delle cosiddette “professioni tecniche”. Ciascuno di loro ha interessi diversi e risorse diverse, e solo a volte possono contare su obiettivi almeno convergenti, se non condivisi. La capacità di leggere e interpretare il contesto decisionale è la prima capacità e la prima competenza che deve acquisire un pianificatore territoriale, perché gli permetterà di essere individuato come figura di riferimento in grado di proporre soluzioni e strategie utili a contemperare le esigenze dei diversi attori.



[1] Position paper per la sessione “Formazione”, Formazione all’urbanistica e alla pianificazione, in tempo di “riforma dei saperi”, elaborato dalla Commissione SIU Formazione (Claudia Cassatella, Michelangelo Russo, Corrado Zoppi) e da parte della Giunta SIU (Massimo Bricocoli, Giuseppe De Luca, Maurizio Tira).

[2] F. Bonavero, C. Cassatella, 2020, Il Pianificatore territoriale in Italia: alcuni dati su formazione e professione in una prospettiva internazionale, TRIA, 25, 2, pp. 99-112.

[3] Chiara Panigatta ha sottolineato come “significativo” il fatto che il CNAPPC, tra tutti i soggetti invitati alla tavola rotonda della SIU, sia stato l’unico assente.