DLL "Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana" 24.07.2014

Il 24 luglio 2014 il Ministro Lupi ha presentato il testo del disegno di legge, "Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana"
Nella presentazione, a firma del Ministro Maurizio Lupi, si specifica che il testo rappresenta un “disegno di legge che sarà oggetto di consultazione pubblica on-line … per raccogliere proposte e spunti critici prima della definizione del testo e dell’inizio del suo iter formale”.Il disegno di legge si pone, secondo il Ministro, all’interno della “azione di Governo … indirizzata a sostenere un percorso di ritorno alla crescita attraverso il rafforzamento … degli investimenti.”
Il provvedimento presentato si prefigge i seguenti obiettivi:
a) “coniugare” le procedure urbanistiche con i nuovi contenuti territoriali e urbanistici (consumo di suolo, social housing, rigenerazione urbana, ecc.),
b) “riconquistare” il ruolo dello stato centrale nella/sulla politica territoriale-urbanistica,
c) “riconfigurare” lo statuto della proprietà pubblica/collettiva e di quella privata,
d) “rivisitare” la fiscalità immobiliare “per farne un alleato e non un nemico dell’urbanistica”.

La forma
Il disegno di legge è composto di 20 articoli suddivisi in due Titoli.
Il Titolo I interviene sui “Principi fondamentali in materia di governo del territorio, proprietà immobiliare e accordi pubblico-privato” e consta di tre Capi e 15 articoli.
Il Titolo II interviene sulle “Politiche urbane, l’edilizia sociale e la semplificazione in materia edilizia, con 5 articoli.
I tre Capi del Titolo I sono dedicati alle politiche pubbliche territoriali e ai principi della pianificazione (artt.1-7), ai principi per l’equità della proprietà privata e la fiscalità immobiliare (artt. 8-13), agli accordi pubblico/privato (artt.14-15).
La legge si presenta snella nel numero degli articoli ma con gli stessi molto “lunghi” e talvolta prolissi e ripetitivi.
La legge ha un carattere più da direttiva che da testo prescrittivo-cogente. Per molti tematismi rimanda ad altrettanti provvedimenti che dovranno assumere le Regioni e le Province autonome o le città metropolitane. In molti casi fissa cioè solamente i principi a cui attenersi o che si vogliono raggiungere lasciando ampio margine di manovra ai successivi provvedimenti regionali.
Non si presenta come una legge che abroga altre leggi né come una legge quadro o come un Testo Unico mantenendo in vita quindi sia la legge storica del 1942 sia tutte le leggi che l’hanno modificata ed integrata. Ad esclusione del DM sulle distanze e sugli standard che potrà essere superato dai provvedimenti regionali. Mentre conferma implicitamente anche il DM dello zoning.
Introduce i concetti di perequazione, compensazione, crediti edilizi e premialità e sugli accordi pubblico-privato. Ma su tale materia quasi tutte le Regioni hanno già legiferato ma soprattutto moltissimi Comuni hanno intrapreso norme applicative nella prassi quotidiana in piena autonomia da diversi anni. La norma in questo caso, come spesso accade, prende atto di un fenomeno che rientra ormai nella prassi consolidata fissando gli obiettivi e la filosofia di riferimento “a posteriori”. Sembra l’ennesima conferma della distanza abnorme tra Paese Reale (quello dei cittadini e degli amministratori locali) e paese politico (quello dei governanti).
Appunti di lettura
La proposta può essere letta con tre ottiche diverse rispetto alla valenza politica, alla valenza tecnico-procedurale, alla valenza culturale-accademica.
Con la prima si deve rispondere alla valutazione di feedback, se cioè gli obiettivi enunciati vengono raggiunti con le proposte prescrittive inserite.
Con la seconda si deve rispondere alla domanda se vi è un effettivo miglioramento tecnico-burocratico di semplificazione senza perdere però il controllo ed il monitoraggio dello stato di salute del bene-territorio.
Con la terza si possono correlare le proposte con il dibattito culturale portato avanti prevalentemente dall’Istituto Nazionale di Urbanistica quale Ente di Alta Cultura come riconosciuto con Decreto Presidenziale e secondariamente dalle varie associazioni ambientalistiche.
Titolo I – Capo II – Principi e strumenti a garanzia del trattamento unitario ed equo della proprietà privata e fiscalità immobiliare
 
Art. 1 (Oggetto e finalità della legge) 
1. La presente legge:
i) stabilisce i principi fondamentali in materia di «governo del territorio», in attuazione dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione, garantendo lo sviluppo socio-economico, un razionale uso del suolo, la soddisfazione delle esigenze connesse al fabbisogno abitativo, privilegiando il rinnovo e la riqualificazione del patrimonio edilizio, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, consensualità, partecipazione, proporzionalità, concorrenza, leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni e tra queste ultime e i privati nella definizione e attuazione degli strumenti di pianificazione, semplificazione degli strumenti medesimi e non aggravamento dei procedimenti;
ii) attua gli articoli 117 e 119 della Costituzione, a integrazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, mediante idonee misure fiscali che assicurino l’effettività delle politiche territoriali
iii) definisce e coordina le politiche territoriali, che incidono sull’assetto del territorio nazionale e sulla conformazione della proprietà;
iv) determina, nell’ambito delle politiche pubbliche territoriali di cui al punto i), le dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6.
2. Il territorio, in tutte le sue componenti, culturali, ambientali, naturali, paesaggistiche, urbane, infrastrutturali, costituisce bene comune, di carattere unitario e indivisibile, che contribuisce allo sviluppo economico e sociale della Nazione.
3. Il «governo del territorio» consiste nella conformazione, nel controllo e nella gestione del territorio, quale bene comune di carattere unitario e indivisibile, ai sensi del comma 2, e comprende l’urbanistica e l’edilizia, i programmi infrastrutturali e di grandi attrezzature di servizio alla popolazione e alle attività produttive, la difesa, il risanamento e la conservazione del suolo. Le politiche del «governo del territorio» garantiscono la graduazione degli interessi in base ai quali possono essere regolati gli assetti ottimali del territorio e gli usi ammissibili degli immobili –suoli e fabbricati- in relazione agli obiettivi di sviluppo e di conservazione e ne assicurano la più ampia fruibilità da parte dei cittadini.
4. Ai proprietari degli immobili è riconosciuto, nei procedimenti di pianificazione, il diritto d'iniziativa e di partecipazione, anche al fine di garantire il valore della proprietà conformemente ai contenuti della programmazione territoriale. Le procedure di pianificazione assicurano la partecipazione dei privati anche nell’esecuzione dei programmi territoriali senza dar luogo a sperequazioni tra le posizioni proprietarie.
(Principi)
L’art. introduce e descrive l’oggetto e le finalità della legge. L’oggetto è il razionale uso del suolo.
Si richiamano poi concetti già diffusi ed introdotti da altre leggi: dal rinnovo urbano alla riqualificazione del patrimonio edilizio, alla partecipazione, al consenso, ecc
Al comma 3 si definisce Governo del territorio quale attività comprendente l’urbanisti e l’edilizia – scindendo, se mai fosse necessario, le due discipline. Gli usi ammissibili degli immobili – tutti gli immobili, dai suoli ai fabbricati – che sono subordinati ad obiettivi di sviluppo e conservazione [del territorio] e che devono assicurare la fruibilità da parte dei cittadini.
Al comma 4 viene ribadito il principio partecipativo dei proprietari degli immobili.
(Commento)
Come visto è un articolo che definisce oggetto e finalità e che esprime concetti fondamentali come la conservazione del suolo, ma potrebbe essere inteso come territorio, del quale il suolo rappresenta una componente (assieme all’ambiente ed al paesaggio), il rinnovo urbano, la riqualificazione e recupero dell’esistente, la partecipazione. In particolare la partecipazione sembra limitata ai soli proprietari degli immobili, anche se lo stesso dovrebbe essere probabilmente esteso a tutti i cittadini, indifferentemente dalla proprietà o meno di immobili. In caso contrario parrebbe la pianificazione e la partecipazione al processo pianificatorio esclusivamente ad appannaggio dei soli proprietari di immobili.
(Proposta di modifica)
Due proposte: la prima, sostituire la parola “suolo” con “territorio” in modo da abbracciare tutto lo spettro pianificatorio (territorio, suolo, ambiente, paesaggio). La seconda, estendere la partecipazione a tutti i cittadini, a prescindere dalla proprietà o meno di un immobile nell’ambito oggetto di pianificazione.
Art. 2 (Linee strategiche, finalità e principi per l’esercizio delle competenze) 
1. Per l’attuazione delle politiche in materia di «governo del territorio», lo Stato e le Regioni e le Province autonome, nell’ambito del Quadro strategico europeo, definiscono le linee strategiche di intervento, in base all’art. 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003.
2. Nell’esercizio delle rispettive competenze in materia di «governo del territorio» lo Stato, le Regioni e le Province autonome favoriscono la crescita inclusiva, lo sviluppo economico sostenibile e la coesione sociale e territoriale.
3. I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano le rispettive competenze in materia di “governo del territorio” nel rispetto dei principi di leale collaborazione, di proporzionalità, di sussidiarietà, di adeguatezza, di differenziazione, di partecipazione, nonché di trasparenza e di semplificazione dell’azione amministrativa. I principi richiamati si applicano anche ai rapporti tra soggetti pubblici e privati che partecipano alla pianificazione.
4. I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato elaborano la pianificazione di propria competenza, tenendo conto delle prospettive di sviluppo del territorio, delle sue peculiarità morfologiche, ambientali e paesaggistiche, delle culture insediative locali e della densità di popolazione presente e potenziale, assicurando il razionale uso del suolo
(Principi)
L’art. definisce i rapporti che si dovranno instaurare tra i soggetti pubblici attuatori della pianificazione territoriale (Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni). Sono ribaditi concetti già presenti nel lessico pianificatori da diversi anni: collaborazione, proporzionalità, sussidiarietà, ecc..
Importante il comma 4 laddove si precisa che la pianificazione va sviluppata tenendo conto della peculiarità morfologiche, ambientali e paesaggistiche ovvero della struttura naturale ed antropica del territorio nonché della cultura locale e delle caratteristiche insediative, sempre assicurando il razionale uso del suolo [e del territorio] previsto dall’articolo 1.
(Commento)
È un art. simile al precedente in quanto identifica le strategie e principi per l’esercizio dei poteri e competenze in ambito pianificatorio da parte dei soggetti territorialmente competenti. Compaiono ancora le Province, nonostante i progetti di sopprimerle.
(Proposta di modifica)
Se i principi enunciati, ivi compera la “leale collaborazione” tra Enti saranno rispettati l’articolo va bene così com’è, con un’unica nota: sostituire la parola “suolo” con “territorio” in modo da abbracciare tutto lo spettro pianificatorio (territorio, suolo, ambiente, paesaggio).
Art. 3 (Compiti e funzioni dello Stato) 
1. Lo Stato, nelle politiche in materia di «governo del territorio», concorre con le Regioni, le Province autonome e gli enti locali allo svolgimento delle attività conoscitive, di valutazione, di programmazione e di localizzazione degli interventi secondo le modalità specificate nella presente legge. 
2. Lo Stato esercita la propria potestà legislativa nelle materie di competenza esclusiva interferenti con la materia «governo del territorio», tenendo conto delle linee strategiche deliberate d’intesa con le Regioni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, e individua altresì le politiche generali in materia di tutela e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio, di assetto del territorio, di promozione dello sviluppo economico-sociale, di rinnovo urbano, di applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche per lo sviluppo urbano sostenibile ed il miglioramento dei servizi in ambito urbano. 
3. Lo Stato partecipa alla formazione delle politiche territoriali europee e ne declina l’attuazione attraverso le politiche nazionali in materia di «governo del territorio», assicurando adeguate forme di coordinamento con le Regioni, e comunque nel rispetto del riparto costituzionale delle competenze. 
4. Sono esercitate dallo Stato, nel rispetto delle suddette linee strategiche deliberate d’intesa con le Regioni, le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici, alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
(Principi)
L’art. definisce quelle che sono le competenze e le funzioni dello Stato nei principi fissati dalla costituzione e nel rispetto del rapporto tra stato e regioni.
(Commento)
Si tratta di un art. “semplice” che non lascia spazio a dubbi circa i compiti dello Stato. Tuttavia al c. 2 si precisa che “Lo Stato esercita la propria potestà legislativa nelle materie di competenza esclusiva interferenti con la materia «governo del territorio». Probabilmente queste materie esclusive sono l’ambiente, il paesaggio, la difesa del suolo ma anche la salute pubblica, tutte intrinsecamente collegate con il territorio. Da capire come ed in che modo gli enti sussidiari potranno incidere con la pianificazione su tali temi o se dovranno esclusivamente limitarsi a recepire le prescrizioni derivanti dall’alto (ammesso che siano chiare e non interpretabili!!!).
(Proposte di modifica)
Nessuna, nel rispetto dei principi - Leale collaborazione - enunciati nell’art. 2
Art. 4 (Potere sostitutivo) 
1. Nell’esercizio delle proprie competenze legislative in materia di «governo del territorio» le Regioni assicurano il rispetto degli obiettivi individuati dalle intese concluse a norma dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131.
2. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni conformano, altresì, tempestivamente i propri atti di pianificazione sulla base della normativa statale e regionale, delle intese concluse a norma dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e degli atti che determinano vincoli alla pianificazione in base alla presente legge.
3. Qualora i Comuni, le Province e le Città metropolitane non conformino gli atti di pianificazione indicati, il Presidente della Giunta regionale, anche su iniziativa di altri enti locali, assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Presidente della Giunta, acquisito il parere del Consiglio delle Autonomie Locali e previa deliberazione della Giunta, adotta i provvedimenti necessari, o nomina un apposito commissario. Alla riunione della Giunta partecipa il Sindaco o il Presidente della Provincia interessata al provvedimento.
4. Il potere sostitutivo demandato al Governo è esercitato in base all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, nei soli casi in cui il mancato adeguamento alla normativa statale incida sulle competenze di cui all’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, o si configurino le fattispecie dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.
(Principi)
L’art. si occupa dei poteri sostituivi. In particolare si precisa che, in caso di inerzia nell’attività pianificatoria da parte di Comuni, Province e Città metropolitane, le Regioni intimano agli stessi di adeguarsi e, in caso negativo, adottano provvedimenti sostitutivi, il tutto al fine di garantire l’adempimento ai contenuti della legge
(Commento)
Un articolo molto chiaro. L’importante che sia applicato visto che il cd potere sostitutivo già è previsto dalla vigente normativa.
(Proposte di modifica)
Nessuna. Auspicabile l’intervento sostitutivo della Regione in caso di inerzia di Comuni, Province e Città Metropolitane.
Art. 5 (Principi e strumenti di coordinamento delle politiche in materia di “governo del territorio” e della pianificazione) 
1. E’ fatto obbligo a tutte le Amministrazioni aventi potere di pianificazione di coordinare i rispettivi strumenti di pianificazione e di cooperare sul piano istituzionale per garantire la coerenza e l’efficacia degli strumenti medesimi.
2. Per l’attuazione delle politiche in materia di “governo del territorio” lo Stato adotta una Direttiva Quadro Territoriale (DQT). La DQT è approvata entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri per lo Sviluppo Economico, Lavoro e Politiche Sociali, l’ambiente e la tutela del territorio e del mare, per i beni e le attività culturali, delle Politiche agricole, alimentari e forestali, e della Salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
3. La DQT definisce gli obiettivi strategici di programmazione dell’azione statale e detta indirizzi di coordinamento al fine di garantire il carattere unitario e indivisibile del territorio, come definito all’art. 1. La DQT ha durata quinquennale ed è soggetta ad aggiornamento triennale. La DQT garantisce l’espressione della domanda pubblica di trasformazione territoriale che la pianificazione paesaggistica deve contemplare. Lo Stato inoltre adotta programmi d’intervento speciali, anche a valenza territoriale, al verificarsi di particolari condizioni di necessità, coordinando la sua azione con quella delle Regioni. Gli interventi speciali sono effettuati in determinati ambiti territoriali, ai sensi del quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e di solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, e di favorire la rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e tecnologici e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati.
4. Le leggi regionali definiscono gli strumenti di pianificazione regionale e locale, nel rispetto dei principi di cui all’art. 1 e secondo le indicazioni contenute agli articoli 6 e 7 della presente legge, individuando le modalità di coordinamento tra i detti strumenti, la pianificazione di settore e la DQT.
5. Per le finalità di cui al comma 4, le Regione e le Provincie autonome, d’intesa con gli enti locali, adotta una Direttiva Quadro Regionale (DQR) che individua la programmazione e le linee e modalità di coordinamento della pianificazione regionale con quella di competenza degli enti locali medesimi e delle autorità di settore.
6. Nell’ambito della DQR, la Regione, al fine di garantire un razionale uso del suolo, detta indirizzi per la definizione delle densità edilizie ottimali di riferimento per la pianificazione urbanistica, tenendo conto delle culture insediative locali, delle caratteristiche strutturali del territorio e delle dotazioni territoriali in essere e programmate, della popolazione presente e prevista, della condizione socio-economica dei comuni, assicurando il raggiungimento delle dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6, ed elabora la cartografia di base e gli studi di settore che le amministrazioni locali e i privati dovranno utilizzare.
(Principi)
L’articolo 5 introduce la cd DQT Direttiva Quadro Territoriale. Essa rappresenta un atto di indirizzo adottato ed approvato dallo Stato di valenza quinquennale ma aggiornabile triennalmente, che definisce i riferimenti per le operazioni di trasformazione territoriale nel rispetto dei principi di cui all’art. 1. Nell’ambito della DQT possono essere adottati programmi di intervento speciali, di valenza territoriale per interventi in particolari ambiti di squilibrio sociale, economico, territoriale, degrado ambientale ed urbano.
A cascata (c. 4) le regioni potranno adottare ed approvare le DQR Direttive Quadro Regionali finalizzate, oltre che al rispetto e raggiungimento dei principi di cui al articolo 1, anche al raggiungimento delle dotazioni territoriali essenziali (gli ex standard “riqualificati”) nel rispetto delle caratteristiche dei singoli territoriali (sociali, economiche ed ambientali).
Infine la Regione, nell’ambito della DQR, dovrà elaborare cartografie di base e studi di settore che le amministrazioni locali ed i privati dovranno utilizzare, presumibilmente, nell’ambito della redazione dei propri piani e progetti di trasformazione urbana e territoriale.
(Commento)
Oltre all’introduzione delle DQT e DQR, interessante è la possibilità di rilocalizzare gli insediamenti esposti e rischi naturali e tecnologici (ultima parte del comma 3) e riqualificazione di territori danneggiati. La rilocalizzazione potrà avvenire – si ipotizza – con le procedure definite ai successivi articoli 7, 12 e 16 c. 9 let. b)) in una sorta di crediti edilizi liberamente [commerciabili] e trasferibili, creando una sorta di “città nomade”.
(Proposte di modifica)
L’art. va bene così com’è. Andrà certamente sviluppata con la cd DQR la definizione delle “densità edilizie ottimali di riferimento per la pianificazione urbanistica” che sembra ancora un parametro meramente quantitativo ancorato a visioni “ottocentesche” di pianificazione territoriale, quando la necessità era quella di quantificare e contenere l’espansione edilizia piuttosto che sviluppare il territorio.
Art. 6 (Dotazioni territoriali essenziali e ambiti territoriali unitari) 
1. La pianificazione e la programmazione del territorio devono prevedere la dotazione di attrezzature pubbliche, e di servizi di interesse pubblico, collettivo e generale per garantire, sul territorio nazionale, la dotazione delle reti e delle infrastrutture che consentono l’accessibilità alle attrezzature urbane e territoriali e la mobilità delle persone e delle merci.
2. Costituiscono dotazioni territoriali essenziali, indispensabili per il raggiungimento dei livelli di qualità urbana e per la realizzazione di interventi organici di riqualificazione dei tessuti edilizi, nonché di infrastrutturazione del territorio, gli immobili e le attività gestionali finalizzati alla fornitura dei servizi relativi ai seguenti diritti di cittadinanza:
a) salute, assistenza sociale e sostegno delle famiglie;
b) istruzione, innovazione e ricerca;
c) fruizione del tempo libero, del verde pubblico, della cultura, sport e spettacolo;
d) mobilità e accessibilità, trasporto delle persone e delle merci e collettivo, infrastrutture immateriali a rete;
e) godimento del paesaggio, del patrimonio storico-artistico e dell’ambiente;
f) sostegno dell'iniziativa economica in coerenza con l’utilità sociale e la sicurezza del lavoro;
g) esercizio della libertà di religione e di espressione etico-sociale, di associazione a fini comunitari e culturali;
h) servizio abitativo ed edilizia residenziale sociale.
3. Lo Stato, anche mediante le intese di cui al comma 6, articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n.131 in sede di Conferenza unificata, definisce i livelli quantitativi e qualitativi delle dotazioni territoriali essenziali, tenendo conto della differenziazione delle amministrazioni comunali per soglia demografica, per condizioni economiche e sociali e per ulteriori elementi di diversificazione o di omogeneità stabiliti d’intesa con le Regioni e le autonomie locali.
4. Le Regioni, entro centottanta giorni dalla definizione dei livelli quantitativi e qualitativi di cui al comma 3, con proprie leggi garantiscono che gli strumenti del “governo del territorio” comprendano la programmazione e la pianificazione della dotazione e della gestione dei servizi primari, secondari e di interesse generale, individuando le opere e gli elementi gestionali necessari al soddisfacimento della domanda dei servizi di cui al comma 2, ivi incluse le aree o gli immobili necessari per il soddisfacimento dei fabbisogni di edilizia residenziale sociale, nonché coordinando la disciplina relativa alla gestione dei servizi sociali e delle attività di assistenza alla persona. Le previsioni delle dotazioni territoriali devono basarsi su approfondite e adeguate analisi dei contesto e documentare il fabbisogno pregresso e futuro, lo stato effettivo di accessibilità e di fruibilità dei servizi pubblici, di interesse pubblico e generale, determinando le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici attraverso i quali viene assicurata la fornitura e la qualità di tali servizi, in relazione alle politiche sociali, locali e sovralocali, anche tramite il concorso di soggetti privati.
5. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile in relazione al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile, in sede di pianificazione sono determinati ambiti territoriali unitari, le cui caratteristiche sono definite con legge regionale. La legge regionale determina per ogni ambito territoriale unitario, oltre alle dotazioni territoriali essenziali secondo le indicazioni di cui ai commi precedenti, i limiti di riferimento di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e dotazioni territoriali essenziali. La proprietà privata è conformata in base ai suddetti ambiti territoriali unitari e alle previsioni di pianificazione di carattere operativo.
6. Dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di cui ai commi 4 e 5, perde efficacia il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444, relativo ai “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”.
(Principi)
L’art. introduce il concetto di “dotazione territoriale essenziale” quale insieme di attrezzature, infrastrutture, reti comunque denominate atte a garantire quello che sono definititi “diritti di cittadinanza”. Questa nuova definizione manda in “pensione” il concetto di “standard urbanistico” del D.M. n° 1444/68.
Lo Stato dovrà definire i livelli quantitativi e qualitativi delle dotazioni territoriali essenziali con particolare riferimento alle caratteristiche demografiche, economiche e sociali dei comuni. Un passaggio importante che supera l’aspetto quantitativo finora applicato (sempre con riferimento ai valori minimi richiesti). Si potranno pertanto “creare” standard ad hoc calati sulla realtà e non sulla teoria. Per esempio per rispondere alle mutate esigenze della popolazione (aumento degli anziani vs diminuzione delle nascite, attività economiche di dettaglio vs grandi centri commerciali, ecc).
Si sostituisce il concetto di Z.T.O. Zona Territoriale Omogenea con A.T.U. Ambiti Territoriali Unitari (comma 5), per ciascuno dei quali si dovranno definire – con legge regionale - i limiti di riferimento di densità edilizia, di altezza, di distanza tra fabbricati nonché i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e dotazioni territoriali essenziali.
La proprietà privata (ultima parte comma 5) dovrà conformarsi sulla base di predetti ambiti e sulla base della pianificazione operativa.
Con l’entrata in vigore dei commi 4 e 5 decade lo storico D.M. 2 aprile 1968 n. 1444.
(Commento)
L’art. contiene un passaggio fondamentale nel panorama urbanistico nazionale: il superamento del mero standard quantitativo (il riferimento nazionale è ancora il D.M. n° 1444/68) ampliando il concetto da standard a dotazione territoriale essenziale. Accanto alle dotazioni classiche come spazi verdi, di interesse comune, per attività religiose, si aggiungono i cd “diritti di cittadinanza” quali, ad esempio, il “godimento del paesaggio”, il “sostegno all’iniziativa economica”, alla “mobilità e accessibilità”. Trattasi indubbiamente di affermazioni di grande portata, anche alla luce del loro contenuto non meramente quantitativo (e quindi facilmente misurabile e quantificabile). Si pensi al concetti di godimento del paesaggio e di come, a livello di pianificazione, lo stesso potrà essere fatto rispettare e garantito. O ancora al sostegno all’iniziativa economica. Ne consegue che la portata ed i contenuti dei futuri strumenti pianificatori non dovrà e non potrà più limitarsi alla definizione di meri parametri quantitativi (superfici, volumi, standard, ecc.) ma dovrà fare un salto di qualità prevedendo a fianco del piano (probabilmente non più necessariamente disegnato) delle politiche socio-economiche.
Altro aspetto importante è la quantificazione di tali dotazioni territoriali che dovrà avvenire attraverso approfondite ed adeguate analisi del contesto (comma 4) e sopratutto con riferimento non solo e non più al fabbisogno futuro ma anche al deficit pregresso. Innovativo in quanto finalmente si provvederà a dare risposta alle esigenze di “standard” espresse dalla popolazione insediata e non solamente insediabile.
La nuova definizione di Z.T.O. ovvero gli A.T.U. Ambiti Territoriali Unitari (comma 5), sembra cambiare solo nome ma non i contenuti. Per ciascuno infatti andranno ancora definiti i limiti di riferimento di densità edilizia, di altezza, di distanza tra fabbricati nonché i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e dotazioni territoriali essenziali. In pratica gli A.T.U. sono ancora zonizzazioni quantitative e la visione del territorio è limitata alla gestione degli aspetti quantitativi.
(Proposte di modifica)
Se tra i principi della legge vi è la tutela a 360° del territorio e tra le dotazioni essenziali vi è il “godimento del paesaggio” o il “sostegno all’iniziativa economica” probabilmente l’articolo doveva introdurre maggiori specifiche relativamente agli aspetti quantitativi ma soprattutto qualitativi non legati solo ad aspetti edilizi (densità, altezze, distanze). Senza specifiche nazionali il rischio è che le Regioni si limitino ad applicare in toto la legge con definizioni esclusivamente quantitative di parametri edilizi.
Art. 7 (Pianificazione territoriale di area vasta e comunale) 
1. La pianificazione territoriale di area vasta, come definita dalle leggi regionali, è funzione fondamentale esercitata dalle Province. Questa funzione è attribuita alle Città metropolitane, ove esistenti.
2. Il Comune esercita la pianificazione e urbanistica del proprio territorio, che si articola in:
a) una pianificazione di carattere programmatorio, a efficacia conoscitiva e ricognitiva;
b) una pianificazione di carattere operativo, a efficacia attuativa.
I contenuti e i procedimenti di adozione e approvazione dei suddetti piani sono disciplinati dalla legge regionale, nel rispetto dei principi dettati dall’art. 1 e dai commi seguenti.
3. Lo strumento comunale di pianificazione urbanistica di cui al comma 2 sub a), comunque denominato, non ha efficacia conformativa della proprietà e degli altri diritti reali, con ogni conseguenza, anche sul piano del trattamento fiscale, della proprietà immobiliare. E’ abrogato l’art. 36, comma 2 D.L. 4 luglio 2006 n. 223, conv. in Legge 4 agosto 2006, n. 248 e le norme in contrasto con la presente disposizione.
4. Per i Comuni dotati di strumentazione urbanistica generali, nelle more della ridefinizione del contenuto dei piani secondo quanto stabilito dal comma 2, l’imposizione fiscale immobiliare si applica al momento dell’approvazione del piano che abbia i caratteri del piano operativo di cui al comma 2, lett. b).
5. Nella definizione e attuazione degli strumenti di pianificazione di cui al comma 2, il Comune attua i principi di concorrenza, partecipazione, flessibilità, leale collaborazione con il privato e con le altre amministrazioni, semplificazione dei procedimenti e rispetto dei tempi, tutela del legittimo affidamento. Gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale devono essere motivati.
6. In attuazione del principio di cooperazione istituzionale, i Comuni coinvolgono gli enti pubblici proprietari e gli enti vigilati dagli stessi, ovvero i gestori istituzionali dei patrimoni immobiliari pubblici, nel rispetto del principio di concorrenza, per la definizione degli obiettivi e delle scelte individuate dagli strumenti di governo del territorio per il suddetto patrimonio, nell’ambito della formazione dei medesimi strumenti, per definire le strategie di trasformazione di detti patrimoni, in coerenza con le previsioni della pianificazione urbanistica.
7. Nell’ambito della formazione del piano operativo, secondo il principio di sussidiarietà, i privati, singoli o associati, possono presentare proposte per operazioni di trasformazione urbanistica di maggiore complessità funzionale, gestionale ed economico – finanziaria. Le proposte, corredate da progetti di fattibilità, si intendono come preliminari di piani urbanistici attuativi. I Comuni valutano le proposte pervenute verificandone la rispondenza alle esigenze di dotazioni territoriali già definite ed ai requisiti prestabiliti dal Comune medesimo. I Comuni possono attribuire misure premiali di carattere urbanistico-edilizio alle proposte ritenute migliori in rapporto alla convenienza collettiva che ne deriva, privilegiando le proposte che innovano il sistema delle attività – funzioni urbane, valutando la qualità del processo e del prodotto urbano che sarà raggiunta dall’operazione di trasformazione.
8. Le Regioni stabiliscono, tenuto conto della dimensione degli enti locali e nel rispetto del principio di buon andamento e proporzionalità, i tempi massimi entro cui deve essere approvato il piano operativo da parte del Comune, che non possono in ogni caso essere superiori a cinque anni per i Comuni di dimensioni maggiori, ed a dieci anni per le Città metropolitane. La mancata approvazione del piano operativo nel termine massimo indicato comporta la decadenza delle previsioni del piano a contenuto programmatorio. Nelle more restano validi i piani vigenti.
9. Le Regioni incentivano la pianificazione urbanistica intercomunale, con l’approvazione di piani urbanistici che si estendono al territorio di più Comuni.
10. Il cambio di destinazione d’uso nell’ambito dei centri urbani non richiede autorizzazione laddove la nuova destinazione d’uso non necessiti di ulteriori dotazioni territoriali rispetto a quelle esistenti
11. La legge regionale, al fine di contenere l’ulteriore occupazione di suolo da parte degli insediamenti residenziali e produttivi, commisura l’entità del contributo per oneri di urbanizzazione, comunque denominati, in rapporto alla densità edilizia, prevedendo, per gli insediamenti di minore densità, un aumento proporzionale del predetto contributo.
(Principi)
L’art. si occupa dei livelli di pianificazione. La pianificazione territoriale ed urbanistica si articola in:
- area vasta, esercitata dalle Province (fintanto non saranno soppresse) o in alternativa dalle Città Metropolitane.
- comunale. Come già avvenuto in diverse regioni (Lombardia, Veneto, Umbria, Toscana, ecc) lo “storico” Piano Regolatore Generale Comunale viene suddiviso in due strumenti:
  • uno che si occupa degli aspetti programmatori e strutturali;
  • uno che si occupa degli aspetti operativi ed attuativi.
Si precisa (comma 3), come già diversi TAR hanno avuto modo di fare, che lo strumento programmatico non ha carattere conformativo della proprietà e conseguentemente nessuna conseguenza sull’aspetto fiscale o su altri diritti reali.
Si conferma come l’attuazione della pianificazione deve avvenire attraverso forme di partecipazione e concertazione (comma 5 e 6) con tutte le realtà e soggetti interessati.
Il comma 7 introduce la possibilità per i privati di presentare proposte per operazioni di trasformazione urbanistica. I comuni, oltre a valutare tali proposte, possono attribuite misure premiali di carattere urbanistico-edilizio (cubatura aggiuntiva, per esempio) per quelle operazioni più meritevoli.
Il comma 10 precisa che il cambio d’uso nei centri urbani è libero, non richiede alcuna autorizzazione, qualora la nuova destinazione non necessiti di ulteriori dotazioni.
Il comma 11 incentiva la densificazione edilizia attraverso un aumento degli oneri di urbanizzazione per gli insediamenti a minore densità.
(Commento)
La prima parte dell’art. è dedicata all’articolazione della pianificazione territoriale sia a livello territoriale (area vasta e comunale) che funzionale (piano strutturale e piano operativo). L’articolazione territoriale è di antica memoria, tant’è che già nella L.U.N. n° 1150/42 c’era l’articolazione in Piani di coordinamento territoriale (poi mutuati in Piani Regionali, Provinciali ,ecc.) e Piani Regolatori Generali Intercomunali e Comunali. L’articolazione funzionale in piano strutturale e piano operativo è sì nuova per la normativa nazionale ma non per quella regionale poiché moltissime regioni, alcune delle quali sono giunte già ad una seconda revisione delle propria legge urbanistica, prevedono da anni una siffatta articolazione. L’importante sarebbe evitare una denotazione troppo “rigida” del piano strutturale, che dovrebbe essere solamente un piano delle invarianti o meglio delle cd valenze che dovrebbero essere definite una volta per tutte. Gli aspetti “esecutivi” andranno invece definiti, nel rispetto della griglia superiore, a livello operativo.
Il comma 7 introduce la possibilità per i privati di presentare proposte per operazioni di trasformazione urbanistica premiate con cubatura aggiuntiva, per esempio. In un certo modo vengono così incentivati i privati a partecipare attivamente e sopratutto qualitativamente alla costruzione della cd città pubblica e di sforzarsi di mettere in campo le proprie capacità per proporre interventi tali da garantire la sostenibilità non solo economica ma anche sociale ed ambientate dell’intervento.
Il comma 10 si occupa del cambio d’uso nei centri urbani, precisando che lo stesso è libero (non richiede alcuna autorizzazione) qualora la nuova destinazione non necessiti di ulteriori dotazioni (essenziali territoriali presumibilmente). Probabilmente il riferimento va a quei cambi d’uso che non richiedono opere edilizie (in caso contrario un titolo edilizio o una comunicazione sarebbero comunque necessari ai sensi del D.P.R. n° 380/01) e che, per esempio, comportano il passaggio da commerciale/direzionale verso il residenziale, laddove, normalmente, la dotazione di standard è minore. Resta da capire cosa succede in caso di assenza totale di dotazioni territoriali pregresse, vale a dire i quelle situazioni nelle quali gli ex standard non sono presenti.
Il comma 11 incentiva la densificazione con una minore incidenza degli oneri di urbanizzazione. Di fatto tale fattispecie già si avvera: normalmente infatti le aree ad indice piu’ elevato (centri storici ed aree di completamento) risultano avere oneri di urbanizzazione più bassi in quanto aree già urbanizzate mentre le aree meno dense (zone agricole, zone perturbane) hanno oneri piu’ elevati poiché le opere di urbanizzazione non esistono e – in teoria - andrebbero realizzate proprio con gli oneri versati
(Proposta di modifica)
Andrebbero meglio definiti i contenuti del piano programmatico/strutturale in quanto se demandato ad ogni legislazione regionale il rischio è una deriva “federalista” estremizzata. Andrebbe inoltre chiarito che i contenuti dei piani strutturali non possono essere operativi ne tanto meno dare definizioni grafiche e normative tipiche del piano operativo.
L’incentivazione alla densificazione mediante il solo ricorso alla sola differenziazione degli oneri non sembra essere un incentivo appetibile. Di norma gli oneri incidono per pochi punti percentuali sul costo complessivo di un intervento. Meglio sarebbe definire delle cd “no-tax-area” ovvero degli ambiti del territorio (ambiti degradati o ambiti da riqualificare e rivitalizzare come i centri storici) laddove chi interviene, a tutti i livelli (dal costruttore, al venditore, all’acquirente, all’esercente, ecc) non paga tasse o le paga in maniera ridotta. Così facendo l’incentivo ad intervenire sarebbe reale, pesando spesso le tasse, comunque denominate (IVA, IRPEF, IRAP, ecc) ben oltre il 50/60% del fatturato lordo.
Art. 8 – Tutela della proprietà ed indifferenza delle posizioni prioritarie
1. Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento.
2. La disciplina della conformazione della proprietà privata, al fine di renderla funzionale agli obiettivi della programmazione territoriale, rispetta il principio di indifferenza delle posizioni proprietarie. I proprietari hanno il diritto di partecipare alla determinazione dei contenuti della programmazione territoriale, conformemente ai fini generali della medesima.
3. I limiti alla proprietà privata, necessari alla programmazione territoriale, sono giustificati dagli obiettivi sociali della programmazione e realizzano una migliore accessibilità al diritto di proprietà privata.
4. Le limitazioni apposte alla proprietà privata che non hanno carattere generale e che non riguardano in generale una categoria di beni economici sono compensate. La compensazione rende indifferente le limitazioni. La categoria di beni economici ricomprende i beni che presentano le medesime caratteristiche socio-economiche e che sono posti in posizione corrispondente rispetto ai fini della programmazione territoriale.
5. La proprietà dell’abitazione è salvaguardata. La programmazione territoriale tiene conto dei bisogni abitativi e contiene previsioni particolari che garantiscono l’accesso alla proprietà dell’abitazione.
(Principi)
L’art. riconosce alla proprietà privata un ruolo preminente (comma1) ed esplicita che la disciplina deve rispettare il principio di indifferenza delle posizioni proprietarie (comma2). Introduce un importante concetto: il “diritto” ai proprietari di partecipare alla programmazione territoriale (comma2) riconoscendo agli stessi un ruolo di co-pianificatori.
Alla proprietà privata possono comunque essere posti delle limitazioni “giustificate dagli obiettivi sociali della programmazione” (comma 3) ma tale “limitazioni” devono essere “compensate” (comma 4) per rendere le stesse “indifferenti” alle altre proprietà.
Infine l’art. esplicita che “la proprietà della abitazione è salvaguardata” e che la programmazione deve “garantire l’accesso alla proprietà dell’abitazione”.
(Commento)
Si tratta di un articolo che esalta (se mai ce ne fosse bisogno) il ruolo della proprietà privata sia come categoria economica sia come soggetto attivo introdotto nel processo programmatorio e di pianificazione. E’ un articolo di principi e direttive che non entra nel merito delle azioni previste o da svolgere per tutelare e limitare tali principi lasciando implicitamente tali adempimenti agli altri enti di governo del territorio. In pratica da circa due decenni i comuni si sono attrezzati autonomamente e sperimentando, in carenza di risorse, per risolvere i problemi della città pubblica ad addivenire a degli accordi pubblico-privato per poter realizzare le opere pubbliche con i capitali dei privati dando in “scambio” la possibilità edificatoria e la valorizzazione immobiliare.
Introdurre il concetto che la partecipazione dei privati alla costruzione della città sia un “diritto” è forse troppo rafforzativo e contrasta con il principio che il territorio è un bene comune non riproducibile e che deve essere salvaguardato e trasferito alle generazioni future nel miglior modo possibile. La valenza pubblica del processo programmatorio dovrebbe essere sempre prevalente su quella privata.
La valenza privata viene inoltre ulteriormente esaltata specificando che le “limitazioni” alla stessa devono essere “compensate”. In sostanza si afferma che qualsiasi vincolo posto alla stessa deve essere compensato, si sottintende con un indennizzo pari al valore di mercato o in un volume equivalente. Anche in questo caso il legislatore è più preoccupato a garantire il proprietario privato che la collettività.
II ricorso alla compensazione economica è solo residuale ed opzionale. I successivi articoli 10 ed 11 introducono infatti gli istituiti della Perequazione e Compensazione che dovrebbero evitare, per le pubbliche amministrazioni, l’esborso di somme di denaro per i beni espropriati sostituendo l’indennizzo economico con quello “edilizio-volumetrico”
Il riferimento alla “garanzia” all’accesso alla proprietà della abitazione potrebbe essere una introduzione interessante se il riferimento è allo Stato stesso. Nel quarantennio post guerra lo Stato ha infatti finanziato una serie di provvedimenti per l’accesso alla proprietà della prima abitazione: controllo del tasso di interesse bancario, piani-Fanfani, peep in diritto di proprietà, piano decennale per la casa (L457/78). Tutto ciò tralasciando la politica del controllo degli affitti (fallimento della legge per l’equo canone) ed in sostanza “obbligando” i cittadini italiani a comprarsi la casa. Ciò ha portato che ad oggi l’85% delle famiglie italiane possiede la casa in cui risiede contro una percentuale opposta e contraria di altri paesi europei (la Germania per es.).
Una volta che gli italiani avevano tutti la casa questa è diventata automaticamente “Capitale” e quindi “rendita passiva” da tassare. La vecchia tassa INVIM che doveva essere versata in sede di compravendita ed era calcolata sull’incremento di valore che il bene aveva assunto negli anni viene sostituita (25 anni fa) dalla tassazione annuale (ICI, IMU) come se il “capitale casa in cui si vive” produca un reddito al pari di una cedola di obbligazioni finanziarie. Garantire la proprietà alla casa ha perciò un sentore di “fregatura”. A maggior ragione in una fase in cui non esistono agevolazioni statali per l’acquisto della prima casa di abitazione.
Di nuovo i Comuni, direttamente a contatto con i cittadini, hanno costruito in questi anni delle “politiche” di welfare implicito dando la possibilità ai propri cittadini di costruire la casa in proprietà sul proprio terreno abbassando i costi di realizzazione. E’ il metodo della pre-osservazioni (o degli interessi diffusi) allo strumento urbanistico di per sé poco ortodosso ma alquanto efficace.
(Proposta di modifica)
Difficile modificare un testo di principi: o si condivide o non si condivide. Si propone solamente di riformulare il comma 4 in quanto abbastanza incomprensibile laddove cita la “categoria di beni economici” che “presentano le medesime caratteristiche socio-economiche” (??).
Art.9 – Fiscalità immobiliare (comprende 10 commi)
1. L'imposizione fiscale sulla proprietà privata immobiliare risponde al criterio di proporzionalità e non costituisce, in ragione della sua misura, un limite all'accesso alla proprietà e alla sua conservazione.
2. Le leggi in materia di tributi propri dei comuni garantiscono agli stessi una adeguata flessibilità per favorire il perseguimento delle politiche territoriali di cui alla presente legge.
3. Per i fini di cui ai commi 1 e 2 le agevolazioni fiscali per le unità immobiliari adibite ad abitazione principale sono prioritariamente previste nella disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
4. La disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche assicura altresì nelle opportune misure la deduzione dal reddito dei canoni di locazione per le suddette unità immobiliari, anche per i contratti diversi da quelli di cui alla legge 9 dicembre 1998, n. 431. 5. Le imposte locali sugli immobili e sui servizi indivisibili afferenti gli immobili, in attuazione del principio del beneficio, sono commisurate anche all’indice di densità edilizia di cui al comma 6 dell’art. 5 della presente legge, con una progressiva riduzione per le zone di maggiore densità edilizia.
6. In attuazione del medesimo principio sono previsti tributi o entrate proprie dei comuni a fronte di servizi indivisibili resi a soggetti non titolari di immobili nel territorio comunale.
7. La disciplina dei tributi diretti ed indiretti tiene conto della assenza di efficacia conformativa della proprietà e degli altri diritti reali dello strumento di pianificazione urbanistica comunale, come stabilito al comma 2 sub a) e al comma 4 dell’art. 7.
8. Le leggi tributarie, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, agevolano le locazioni e le cessioni di fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali, come definiti dall’articolo 19 della presente legge, nonché i contratti stipulati per la loro costruzione.
9. Le leggi in materia di tributi immobiliari garantiscono la deducibilità degli stessi dalle imposte sui redditi e dall’IRAP in capo alle imprese e agli enti commerciali e la loro non applicabilità a carico degli immobili destinati alla vendita o alla rivendita che non siano utilizzati.
10. Gli immobili soggetti a vincoli di interesse generale di ogni genere non sono soggetti a tassazione.
(Principi)
L’art. entra nel merito dell’imposizione fiscale legata agli immobili dettando una serie di direttive che dovranno essere attuate da altri settori dello Stato. Il principio base è che l’imposizione fiscale sulla proprietà immobiliare deve rispondere ad un criterio di proporzionalità (comma 1) e che le leggi in materia di tributi propri dei comuni devono comunque garantire agli stessi una flessibilità per favorire il perseguimento delle politiche territoriali (comma 2).
Sulla prima casa le eventuali agevolazioni devono comunque essere “prioritariamente” previste dalla disciplina sull’IRPEF, quindi dallo Stato. La stessa disciplina deve prevedere delle deduzioni anche per i canoni di locazione (comma 4).
Le imposte locali devono inoltre essere commisurate anche “all’indice di edificabilità …. con una progressiva riduzione per le zone di maggior densità” (comma 5).
Le imposte locali “a fronte dei servizi indivisibili” devono essere previste anche per “i soggetti non titolari di immobili nel territorio comunale” (comma 6).
La disciplina dei tributi non deve essere applicata laddove non vi sia la “conformità” della proprietà dello strumento urbanistico, cioè nei piani strutturali o strategici comunque denominati (comma 7).
I commi 8 e 9 prevedono che determinate agevolazioni siano assicurate per gli alloggi sociali o e per quelli destinati alla vendita.
L’ultimo comma introduce una novità che potrà essere interpretata in modo allargativo: tutti gli immobili “soggetti a vincoli di interesse generale di ogni genere non sono soggetti a tassazione”.
(Commento)
Si tratta di un articolo che detta regole principalmente per il legislatore nazionale che detiene la materia di imposte e tasse. Introduce il concetto che i “servizi indivisibili” devono essere pagati non solo dai cittadini possessori di un immobile ma anche da quelli che immobili non hanno. Si tratta di un provvedimento equo. Se vi è una tassazione sui servizi offerti dal comune (ammesso che ciò sia corretto) tutti devono pagare. La legge non dice in base a che cosa avverrà questa tassazione. Nell’anno in corso ciò è avvenuto in base alla “cosa” più facile da controllare: la rendita catastale. Il ragionamento deve essere spostato su un altro piano: quali sono i “servizi indivisibili”.
Il comma a dir la verità si presta anche ad una lettura completamente diversa. La tassazione avviene solo per i possessori di immobili per i servizi “resi a soggetti non titolari di immobili”. (???)
Il comma che riguarda le agevolazioni per le abitazioni sociali rappresenta una affermazione di principio che comunque è in parte già presente nella legislazione. Di converso le agevolazioni per la prima casa o per i lavori di ristrutturazione o per l’efficientismo energetico non vengono nominati.
Il comma che distingue ai fini della tassazione i piani urbanistici operativi da quelli strategici avviene già nella prassi consolidata. La legge lo conferma solamente. Più corretto sarebbe introdurre il concetto che la tassazione per le aree a previsione indiretta del piano operativo avvenga solo dopo l’adozione in consiglio comunale del Piano Attuativo. Vi sono dei casi in cui l’attuazione del piano non decolla a causa della frammentazione proprietaria e non sembra che la tassazione sia uno stimolo ad accordarsi. Si creano quindi delle sperequazioni tra le diverse proprietà. Una tesi opposta sostiene l’esatto contrario: l’imposizione fiscale è un acceleratore dei processi aggregativi. E’ pur vero, in alternativa, che se invece il proprietario è unico non ha alcun interesse a far partire l’operazione immobiliare sino a che il mercato non risponde alle sue esigenze.
Forse la riposta sta nel tempo di attuazione. Se il piano operativo vale veramente 5 anni i proprietari hanno un congruo lasso di tempo per accordarsi ma nel frattempo vengono tassati. In caso di inerzia devono richiedere di vedere riconfermata la previsione. La legge (quella urbanistica o quella tributaria) dovrebbe tener conto della impossibilità di ricorrere al contenzioso specificando che il non-accordo tra le parti non può dar luogo a risarcimenti fiscali da parte dell’ente comunale.
L’imposizione fiscale progressivamente ridotta “per le zone di maggiore densità edilizia” non risulta molto comprensibile. Sinora è avvenuto l’esatto contrario. Più elevata era la previsione volumetrica edilizia maggiore è stata la tassazione. Forse il legislatore voleva favorire la densificazione urbana contro la dispersione. Forse voleva “punire” l’edificazione sparsa della tipologia villino o casa uni-bifamiliare. Anche in questo caso i comuni hanno già adottato tariffazione sugli oneri differenziate per le costruzioni in zona agricola non dotate di servizi (che paradossalmente pagano di più ma in pratica hanno di meno, dovendosi spesso realizzare i vari allacciamenti e potenziamenti dei sotto-servizi in misura maggiore rispetto a quelli della città consolidata). Ma all’interno della città consolidata l’area a maggiore potenzialità edificatoria “paga” una quota più elevata.
Il comma che riguarda la tassazione degli immobili “soggetti a vincoli … di ogni genere” può aprire una discussione su quali siano tali vincoli. Il concetto di vincolo si è infatti in urbanistica (erroneamente) allargato a dismisura. Vi sono i vincoli sui beni storici, sul paesaggio, sulle zone a rischio sismico e a rischio idraulico, sulle fasce di rispetto stradale e su tutte le infrastrutture sotterranee, ecc. Vi sono inoltre i vincoli sui Centri Storici e sui beni identitari (comunque denominati), i vincoli archeologici riconoscibili solo al momento dello scavo con il cantiere aperto. Vi sono i vincoli sugli edifici storico-testimoniali introdotti dalla strumentazione urbanistica comunale o regionale. Vi sono i vincoli sul paesaggio, sui parchi, sui siti comunitari, sulle zone a protezione speciale, ecc. Vi sono infine i vincoli posti sulle aree private in cui deve essere costruita l’opera pubblica, soggetti a potenziale esproprio.
In un momento di risorse scarse tutte queste aree sono state oggetto di tassazione. Anche i vincoli dove era previsto lo standard i comuni nei loro piani li hanno sottoposti ad una doppia normativa. L’opera poteva essere realizzata anche dal privato in convenzionamento. In questo modo si è evitato il ricorso all’esproprio e alla decadenza quinquennale dello stesso.
(Proposta di modifica)
Si impone la modifica al comma 5 laddove propone “la progressiva riduzione (impositiva) per le zone a maggior densità edilizia”. Vi è da chiarire se gli Oneri di Urbanizzazione ed il Contributo sul Costo di Costruzione rientrano o sono esclusi dalla “fiscalità immobiliare” di questo articolo.
Art.10 – Perequazione
1. I piani urbanistici possono essere attuati per mezzo della perequazione e della compensazione, secondo le modalità stabilite dalle regioni, anche al fine di raggiungere gli obiettivi di qualità urbana, paesaggistica e ambientale nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed equità, garantendo altresì l’indifferenza delle posizioni proprietarie dei suoli.
2. La perequazione è finalizzata alla riduzione della diversità di trattamento della proprietà determinata dal piano urbanistico ed ad una equa distribuzione dei benefici derivanti dalla pianificazione e all’acquisizione da parte degli enti locali, delle aree necessarie alle dotazioni territoriali funzionali alla qualità urbana, paesaggistica ed ambientale.
3. La perequazione trova attuazione grazie all’attribuzione a tutte le aree soggette a trasformazione urbanistica di diritti edificatori senza distinzione tra destinazioni d’uso pubbliche e private.
4. La perequazione può essere estesa a tutte le aree di trasformazione urbanistica ovvero solo ad una loro porzione. L’indice di edificabilità - opportunamente commisurato rispetto alle scelte pianificatorie generali e in particolare al dimensionamento del piano - può essere unico ovvero differenziato per classi omogenee di suoli, conformante le volumetrie degli edifici se esistenti a parità di destinazione d’ uso.
5.Le Regioni stabiliscono criteri di perequazione territoriale a carattere anche intercomunale, e forme di coordinamento delle regole perequative dei piani di comuni interessati a promuovere la realizzazione di dotazioni territoriali, di interesse sovracomunale, di carattere ambientale, infrastrutturale e per le attrezzature ed i servizi.
(Principi)
Viene introdotta la possibilità di attuare i piani urbanistici “per mezzo della perequazione e compensazione” (comma 1). La stessa è finalizzata “alla riduzione del trattamento della proprietà” e alla “acquisizione da parte degli enti locali delle aree necessarie alle dotazioni territoriali funzionali alla qualità urbana, paesaggistica e ambientale (comma 2). La perequazione si attua alle aree soggette a trasformazione urbana “pubbliche e private” (comma 3) e può essere estesa a tutte le aree o solo ad alcune (comma 4). L’indice di edificabilità può essere unico o differenziato e “conformante le volumetrie degli edifici se esistenti” (???).
Ma l’ultimo comma specifica che le Regioni stabiliscono “i criteri di perequazione”.
(Commento)
E’ un altro articolo non-conformante (!). In sostanza rimanda alle Regioni i criteri. Ma le Regioni lo hanno già fatto con le proprie leggi, alcune da oltre un decennio. Lo Stato ne prende atto e fissa i principi “a posteriori”.
L’art. non aggiunge nulla a quanto già avviene nella prassi quotidiana dei Comuni né entra nel merito di tutte le difficoltà che questa innovazione ha introdotto. In sostanza fissa un “cappello” generale al di sotto del quale quelle poche regioni che non hanno ancora rinnovato la propria legge urbanistica lo possano attuare con una sicurezza giuridica maggiore (sic).
Come al solito i Comuni e gli amministratori sono più “avanti” dello Stato e dei politici-governanti.
(Proposta di modifica)
E’ nuovamente un testo di principi di cui si condivide la filosofia in quanto trattasi di normativa già entrata nella prassi quotidiana. Alcuni commentatori autorevoli affermano comunque che la perequazione sotto la dizione di “comparto” era già presente nella legge urbanistica del 1942.
Forse necessita una riscrittura del comma 4 nell’ultimo capoverso che risulta di difficile lettura e comprensione.
 
Art.11 – Compensazione
1. In presenza di vincoli preordinati all’esproprio, l’amministrazione può procedere, in luogo della corresponsione dell’indennità di esproprio in denaro e a fronte della cessione volontaria del bene, all’attribuzione di diritti edificatori da trasferire e impiegare su altra area nella disponibilità del proprietario o di terzi.
2. La compensazione trova applicazione nell'acquisizione di beni immobili funzionali all’attuazione dei piani per indennizzare sia l'acquisizione dei beni che le eventuali indennità per la reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio. La compensazione trova altresì applicazione in interventi di demolizione e rilocalizzazione di immobili in sede impropria, con il mantenimento o la modifica delle destinazioni d’uso di questi ultimi, e per la realizzazione di dotazioni territoriali di carattere ambientale di interesse comunale o sovracomunale
3. Allo fine di acquisire i beni immobili funzionali all'attuazione dei piani urbanistici, l'amministrazione può altresì procedere alla permuta con beni immobili di proprietà pubblica di valore tale da indennizzare la proprietà. Al fine di dare attuazione a quanto previsto dalla pianificazione urbanistica comunale, l’amministrazione può consentire la realizzazione degli interventi di interesse generale da parte della stessa proprietà, previa stipula di una convenzione con l’amministrazione per la gestione dei servizi.
(Principi)
L’art. introduce il concetto di “compensazione” urbanistico-edilizia a fronte di una cessione volontaria di un bene soggetto ad esproprio (comma 1). Il diritto edificatorio può essere impiegato su un'altra area del medesimo proprietario come su un’area di terzi (comma 1). La compensazione può essere applicata anche in attuazione di indennizzo reiterato ai fini espropriativi (comma 2). Trova inoltre applicazione per gli interventi di demolizione e rilocalizzazione di edifici in sede impropria anche con il cambio di destinazione d’uso (comma 2).
L’Amministrazione può inoltre procedere a permute di proprietà pubblica con beni di proprietà privata. Può inoltre consentire la realizzazione di opere pubbliche da parte del privato previa stipula di apposita convenzione (comma 3).
(Commento)
Si tratta (anche in questo caso) di prassi già consolidata nelle pratiche comunali e già previste dalle leggi regionali di seconda generazione. Il legislatore non fa altro che prenderne atto convalidandole a “posteriori”.
Per quanto riguarda la demolizione con ricostruzione e con cambio di destinazione, la norma è già inserita nel provvedimento Berlusconi del luglio 2011 (D.L. n° 70/2011 convertito con la Legge n° 106/2011) in cui è stata prevista anche una premialità. Tale norma ha creato a sua volta delle difficoltà interpretative. La premialità è infatti prevista diversificata tra il 10% della superficie coperta se trattasi di destinazione non-residenziale e il 20% se trattasi di destinazione residenziale. La norma (né interpretazioni successive ministeriali) però non ha chiarito se tale percentuale debba applicarsi al bene di decollo o al bene di atterraggio. Il promotore privato che propone l’operazione propende, ovviamente, per la seconda ipotesi. Un capannone realizzato con l’indice di copertura viene ora reinterpretato in volume vuoto-per-pieno. A questo si aggiunge un altro 20% per il cambio di destinazione a residenza. Non solo ma tale operazione può essere (sempre secondo una interpretazione favorevole) soggetta a mero Permesso di Costruire invece che a Piano Attuativo con la verifica e produzione degli standard.
La legge Lupi non propone alcunché a riguardo.
Un altro punto non risolto è la quantificazione della “compensazione” in caso di esproprio. Presupponendo che il valore di esproprio sia pari a quello venale bisogna tradurre lo stesso in volumetria (credito edificatorio). In alcuni casi ciò si è già tradotto in formule sperimentali applicate da alcuni comuni. Tali formule devono necessariamente essere legate a valori di mercato ma altresì a valori in qualche modo obiettivi. Si deve quindi ricorrere a perizie ad hoc o a perizie convalidate da una deliberazione comunale o ai valori di rendita catastale o a valori già deliberati dal Comune per altri scopi (per es. tassazione ICI – IMU).
Si pone poi un tema “perequativo” tra pubblico e privato. Se il valore di “compensazione” è superiore a quello di indennizzo per esproprio la Pubblica Amministrazione commette una “sperequazione” contabile? Se, viceversa, il valore di compensazione è uguale a quello di esproprio il privato che vantaggio ha a rischiare? Tanto vale farsi addebitare l’indennizzo.
La legge Lupi non propone alcunché a riguardo.
Lo stesso vale per gli standard che possono essere realizzati dall’operatore privato. E’ una prassi già consolidata e sperimentata da diversi Comuni.
(Proposta di modifica)
Se rimane una legge di principi va bene così. Purtroppo è in ritardo.
Art.12 – Trasferibilità e commercializzazione dei diritti edificatori
1. I diritti edificatori sono trasferibili e utilizzabili, nelle forme consentite dal piano urbanistico, tra aree di proprietà pubblica e privata, e sono liberamente commerciabili.

2. Possono essere previsti coefficienti di conversione per i trasferimenti dei diritti edificatori tra diversi ambiti urbani individuati dal piano allo scopo di assicurare l’equità di trattamento della proprietà e la sostenibilità e la qualità delle trasformazioni urbane.
3. I comuni istituiscono il registro dei diritti edificatori allo scopo di verificare l’utilizzo di questi ultimi nella fase di attuazione dei piani urbanistici.
4. Ove i diritti edificatori, conferiti sia a titolo di perequazione, compensazione e premialità, siano ridotti o annullati a seguito di varianti del piano urbanistico, non obbligatorie per legge, il comune deve indennizzare i relativi proprietari sulla base del criterio del valore di mercato.
(Principi)
L’art. specifica che i “diritti edificatori” possono essere calibrati tra ambiti diversi e tra diverse destinazioni d’uso, che gli stessi sono iscritti in un apposito Registro istituito dai Comuni e che possono essere liberamente commercializzati (commi 1,2,3). Qualora con una variante urbanistica venissero annullati gli stessi devono essere indennizzati a valore di mercato (comma 4).
(Commento)
Anche in questo caso si tratta di principi che nella prassi consolidata sono già applicati da diversi anni. Il governo Berlusconi ha già provveduto (D.L. n° 70/2011 convertito con la Legge n° 106/2011) ad inserirli all’interno del Codice Civile (art. 2643 c. 2bis) dandogli maggiore valenza.
Nella prassi si è assistito ad una difficoltà applicativa. Una volta inseriti nel Registro dei Crediti quando questi diritti edificatori possono essere spesi? E se il Comune non trova le aree di atterraggio? Quanto tempo il privato può vedere “volare” i crediti?
Pericoloso (anche se corretto) sembra il comma 4 che introduce l’indennizzo a valore di mercato se il Comune procede ad una Variante urbanistica che nega tali crediti. In mancanza di risorse pubbliche non sembra una ipotesi facilmente attuabile: al Comune converrà sempre posticipare la decisione. Che garanzia può allora avere il privato?
La legge Lupi non propone alcunché a riguardo.
Vi è poi l’aspetto fiscale. I crediti che “volano” sono soggetti a tassazione? O diventano bene imponibile solo dopo “l’atterraggio”?
(Proposta di modifica)
Se rimane una legge di principi va bene così. Purtroppo è in ritardo.
Si può proporre una aggiunta che i crediti edilizi siano riportati anche nei Registri della Conservatoria. O al Catasto sotto la Partita per nominativo.
Art.13 – Premialità
1. La premialità è finalizzata a promuovere interventi di riqualificazione edilizia, urbana e ambientale e prevede l’attribuzione di diritti edificatori a fronte del perseguimento di specifiche finalità pubbliche.
2. La premialità trova impiego nella riqualificazione urbanistica, ambientale ed edilizia delle parti degradate della città, negli interventi di recupero e riqualificazione paesaggistica nello sviluppo dei servizi e delle dotazioni urbanistiche e ambientali di carattere comunale e sovra comunale, e nella messa a disposizione di immobili per l’edilizia residenziale sociale in tutte le sue forme.
3. La premialità trova applicazione anche nel caso di richiesta da parte del comune di oneri aggiuntivi rispetto al contributo di costruzione per la realizzazione di opere pubbliche, previa adesione volontaria da parte del soggetto che attua la trasformazione urbanistica.
(Principi)
La premialità è finalizzata alla riqualificazione urbanistica (comma 1) e nella messa a disposizione di edilizia residenziale sociale (comma 2). La stessa può essere applicata in caso di richiesta di oneri aggiuntivi rispetto al contributo di costruzione previa adesione volontaria del soggetto che attua la trasformazione urbanistica (comma3).
(Commento)
E’ una diversa declinazione del precedente “diritti edificatori”. Si lascia ai Comuni nella propria autonomia di attuare la premialità all’interno della strumentazione urbanistica secondo regole che attuano la valenza pubblica del progetto. Anche in questo caso si tratta di una sperimentazione già avviata e realizzata nei cd Progetti Complessi.
(Proposta di modifica)
Se rimane una legge di principi va bene così. Purtroppo è in ritardo.
Art. 14 – Accordi urbanistici
1. Sono definiti accordi urbanistici gli accordi tra parti pubbliche e privati, i cui contenuti incidono sulla pianificazione territoriale, ambientale e urbanistica. Le amministrazioni pubbliche possono concludere accordi urbanistici sia nella fase di definizione che di attuazione degli strumenti di pianificazione. Gli accordi si attivano anche su istanza dei privati.
2. Gli accordi urbanistici rispondono ai principi di proporzionalità, parità di trattamento, adeguata trasparenza delle condizioni dell’accordo e dei benefici pubblici e privati connessi, specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico che li giustifica, pubblicità, concorrenza.
3. Le leggi regionali disciplinano gli accordi di cui al comma 1 nel rispetto dei principi indicati al medesimo comma, stabilendone il relativo procedimento di adozione e l’organo alla stessa competente, i criteri di selezione dei privati laddove vi siano, anche potenzialmente, più soggetti interessati alla conclusione dell’accordo. Gli atti di proposta e adozione degli accordi sono soggetti alle forme di pubblicità degli strumenti urbanistici che integrano o attuano.
(Principi)
Gli Accordi Pubblico/Privato si concludono sia durante la stesura degli strumenti urbanistici sia in attuazione degli stessi (comma 1). Possono essere attivati anche su istanza dei privati (comma 1) ma devono rispondere la principio di proporzionalità, parità e trasparenza ferma restando la valenza pubblica appositamente argomentata (comma 2).
Le Regioni devono legiferare in materia per regolamentare il procedimento ferme restando opportune forme di pubblicizzazione (comma 3).
(Commento)
Gli Accordi sono già inseriti nella legislazione di diverse Regioni e di fatto esistono dal 1990 con la L. 241/90. Di solito essi si concludo con la sottoscrizione di una Convenzione subordinata alla approvazione dello stesso o ad un Atto Unilaterale d’Obbligo o ad una Conferenza di Servizi come previsto dalla legislazione vigente. Gli stessi seguono normalmente una procedura analoga a quella di adozione/approvazione della strumentazione urbanistica, che è diversificata per Regione.
(Proposta di modifica)
Se rimane una legge di principi va bene così. Purtroppo è in ritardo.
Art. 15 – Giurisdizione e strumenti di tutela
1. Le controversie relative a provvedimenti di adozione, approvazione e attuazione degli strumenti e degli accordi urbanistici, comunque denominati, ivi compresi quelli che comportano la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
2. Entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato a modificare il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, al fine di adeguare la disciplina del processo alle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo; b) prevedere per le controversie di cui al comma 1 la disciplina specifica stabilita all’art. 119 del codice del processo amministrativo.
(Principi)
Le controversie sugli Accordi sono riservate al giudice amministrativo (comma 1). La legge delega il Governo a presentare le modifiche necessarie al fine di coerenziare la disciplina del processo amministrativo.
(Commento)
Trattasi di mera delega da attuarsi entro 90 giorni dalla entrata in vigore della legge. Non se ne intuisce la necessità in quanto già avviene.
 
ARTICOLO NON INSERITO NELL’ULTIMA VERSIONE
Art 14 - (Contributo straordinario per le trasformazioni urbane)
1. Fatto salvo quanto previsto al comma 16, lettera f) dell’articolo 14 del decreto legge 31 maggio 2010, n.78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2012, n.122 si applica un contributo straordinario nella misura massima del 66 per cento, in funzione del maggior valore immobiliare conseguibile, a fronte di rilevanti valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in via diretta o indiretta, rispetto alla disciplina previgente per la realizzazione di finalità pubbliche o di interesse generale, ivi comprese quelle di rigenerazione urbana, di tutela e riqualificazione ambientale, edilizia sociale. Le Regione possono, con apposita norma, graduare la percentuale di detto contributo straordinario in relazione alle caratteristiche economiche e territoriali dei luoghi.
2. Il contributo di cui al comma 1 deve essere destinato alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale anche per la bonifica ambientale ricadenti nell’ambito di intervento cui accede e può essere in parte volto anche a finanziare la progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse pubblico e generale, nonché alle attività di riqualificazione urbanistica, ambientale e di servizio del territorio, per le quali l’Amministrazione comunale provvede a darne pubblicità nei confronti dei cittadini.
3. Sono fatti salvi, in ogni caso, gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già assunti dal privato operatore in sede di accordo o di atto d’obbligo a far data dall’entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente ovvero in base a quanto determinato con legge regionale di cui al comma 4.
4. Le aliquote relative all’applicazione del contributo di cui al comma 1, con eventuale differenziazione per le città metropolitane, sono determinate con legge regionale da emanare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, individuando comunque come aliquota massima gli interventi che in tutto o in parte comportano consumo di nuovo territorio e finalizzando le riduzioni verso gli interventi di rigenerazione degli immobili dismessi, di efficientamento energetico e di incremento della qualità ambientale, con parametri oggettivamente misurabili e definiti tramite le predette leggi regionali;
5. Con le suddette leggi regionali sono armonizzate eventuali normative già emanate alla entrata in vigore della presente legge, è coordinata l’eventuale esenzione, totale o parziale dal contributo commisurato al costo di costruzione di cui all’articolo 16 del d.P.R. 6 giugno 2001. N.380, sono definite le modalità di calcolo del contributo e di verifica dei plusvalori realizzati al momento del trasferimento, da includere nell’atto convenzionale sottoscritto tra il promotore immobiliare e la pubblica amministrazione. Fino alla emanazione delle predette leggi regionali, le Amministrazioni comunali applicano il contributo straordinario secondo le seguenti indicazioni, ferma restando la possibilità di concordare, tramite il predetto atto convenzionale, ogni ulteriore patto relativo alle suddette prescrizioni:
a. Il calcolo del valore di applicazione viene effettuato come differenza tra il valore allo stato trasformato degli immobili, sulla base delle previsioni di trasformazione e quello attuale degli immobili con destinazioni d’uso vigenti, considerando i costi di intervento per la conservazione degli immobili nello stato attuale;
b. L’aliquota di applicazione è pari al 66%, con la possibilità di riduzione fino al 30%, solo nel caso di intervento su immobili esistenti e sulla base della dimostrazione oggettiva del miglioramento dell’efficienza energetica degli immobili rispetto alla classe energetica obbligatoria.
6. Per la riqualificazione di immobili pubblici il contributo straordinario di cui al comma 1, qualora non venga applicata la premialità di cui al comma 15 dell’articolo 3 del decreto legge 25 settembre, 2001, n.351 convertito, con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n.410, è determinato nella misura massima del 20%, calcolato secondo le modalità di cui al comma 5.
Commento
L’art. dettava una norma interessante ed è stato eliminato nell’ultima versione. La percentuale minima del 66% sembrava comunque molto elevata. Di solito la percentuale si fermava al 50% o poteva variare tra un 40% e 60% lasciando una certa discrezionalità alla negoziazione e alla attuazione della stessa non potendo preventivare tutta la casistica possibile. Forse bisognerebbe mettere in relazione anche la tassazione diretta e gli stessi contributi previsti dalla Bucalossi e ripresi dal Testo Unico Edilizia.
Titolo II
POLITICHE URBANE, EDILIZIA SOCIALE E SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA EDILIZIA
Art. 16 (Rinnovo urbano)
1. In attuazione del principio di razionale uso del suolo, di cui all’art. 1, lo Stato, favorisce politiche di rinnovo urbano per la rifunzionalizzazione, valorizzazione e recupero del patrimonio e del tessuto esistente, delle periferie, delle aree dismesse e per il ripristino ambientale e paesaggistico delle aree degradate.
2. Il rinnovo urbano si attua per mezzo della conservazione, della ristrutturazione edilizia, della demolizione, della ricostruzione di edifici e la ristrutturazione urbanistica, di porzioni di città, e di insediamenti produttivi ed è realizzato attraverso un insieme organico e coordinato di operazioni, finalizzate all’innalzamento complessivo della qualità urbana e dell’abitare, alla valorizzazione, alla rigenerazione del tessuto economico sociale e produttivo, nel rispetto delle dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6, secondo principi di sostenibilità economica sociale e ambientale.
3. I Comuni, nelle aree ritenute a particolare disagio sociale, attivano operazioni di rinnovo urbano integrandole con azioni di politica sociale e assistenziale, per l’innalzamento del livello di coesione sociale.
4. Le aree prioritarie per le operazioni di rinnovo sono individuate dai Comuni nella pianificazione urbanistica comunale programmatoria di cui all’art 7, comma 2, lett. a).
5. I Comuni pianificano le aree urbanizzate residuali funzionali alle operazioni di rinnovo e individuano i principali detrattori paesaggistici e urbani, prevedendone nelle forme più opportune l’eliminazione o la minimizzazione del loro impatto negativo
6. L’approvazione delle operazioni di rinnovo funzionale e rigenerazione urbana comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere e l’urgenza ed indifferibilità dei lavori.
7. Le operazioni di rinnovo urbano possono essere realizzate anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità dalla stessa, previo accordo urbanistico tra Comune e privati interessati dalle operazioni. Le Regioni con specifica normativa possono definire le procedure amministrative per consentire l’attuazione indiretta, in conformità e secondo gli accordi urbanistici di cui all’art. 14.
8. Le operazioni di rinnovo urbano, che comportano abbattimento e ricostruzione di porzioni di città, sono soggette a dibattito pubblico, da disciplinarsi con legge regionale. Il relativo piano - che si inserisce nella pianificazione attuativa di cui all’art. 7, comma 2, lett. b), è formato di concerto tra comune e gli altri soggetti pubblici coinvolti dagli interventi ivi previsti, con la partecipazione dei privati interessati. Si procede mediante conferenza di servizi o accordi di programma, ai sensi della legge 7 agosto 1990 n. 241. 9. Al fine di incentivare gli interventi di rinnovo urbano, come definiti al comma 1 e di contenere l’ulteriore occupazione di suolo agricolo ai sensi dell’ art. 1, oltre alle misure stabilite dall’art. 5, comma 9, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106:
a) le imposte che gravano sugli immobili sono commisurate all’indice di densità edilizia di cui all’ art 5 comma 6, con una progressiva riduzione per le zone di maggiore densità edilizia;
b) le leggi regionali stabiliscono che, attraverso i piani urbanistici comunali, venga assegnata una premialità volumetrica - da intendersi come una ulteriore quantità edificatoria rispetto a quella di base spettante - connessa al miglioramento sismico, acustico, energetico, delle prestazioni bioclimatiche ed alla qualità igienico-sanitaria dei materiali impiegati nelle costruzioni da rinnovare, alla durabilità e facilità di manutenzione, all’eliminazione dei detrattori ci cui al comma 5, che può essere utilizzata anche in altre zone edificabili.
10. I Comuni costituiscono altresì un patrimonio di aree, nella loro disponibilità o derivanti da perequazione e compensazione, dove realizzare alloggi per esigenze temporanee o definitive per i proprietari degli immobili oggetto delle operazione di rinnovo urbano. A tale scopo, i Comuni in sede di approvazione di dette operazioni, assegnano tali aree ai soggetti promotori degli interventi allo stesso valore dell’indennità di esproprio.
11. Le aree di cui al comma precedente sono vincolate alla realizzazione e alle operazione di rinnovo urbano di cui al presente articolo.
12. I privati proprietari possono consorziarsi con un soggetto promotore, ovvero conferire allo stesso apposito mandato con rappresentanza
13. I proprietari degli immobili oggetto degli interventi di rinnovo urbano e il soggetto promotore possono stipulare contratti di compravendita, permuta totale o parziale aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà degli immobili su cui si interviene a fronte della proprietà di quelli realizzati nelle aree di cui al comma 10 del presente articolo ovvero in altre aree.
14. Gli alloggi realizzati ai sensi del comma 10 del presente articolo, utilizzati in via temporanea da parte dei proprietari degli immobili ricadenti nelle operazioni di rinnovo, possono essere successivamente destinati a soddisfare esigenze di edilizia sociale o ceduti al Comune.
(Principi)
L’articolo 16 condensa le numerose leggi che a partire dal 1978 (L. n° 457) si sono occupate a vario titolo di recupero, riqualificazione, rigenerazione, riconversione del patrimonio edilizio e del tessuto urbano esistenti.
Scopo dell’articolo è il contenimento del consumo di suolo mediante il rinnovo urbano e la valorizzazione dell’esistente.
Al comma 4 si precisa che le aree per operazioni di rinnovo urbano sono identificate dai comuni già a livello programmatorio (art. 7 c. 2 lett. a)) identificando i principali detrattori paesaggistici ed urbani e prevedendo forme di incentivazione per il recupero. L’approvazione delle operazioni di rinnovo urbano corrisponde a dichiarazione di pubblica utilità (comma 6) e conseguentemente l’avvio delle procedure di esproprio.
Il comma 7 prevede la possibilità di realizzare tali operazioni di rinnovo anche in assenza o in difformità dalla pianificazione operativa (art. 7 c. 2 lett. b) ma, si presume, coerentemente con quanto previsto dalla pianificazione programmatica come stabilito dal comma 4.
Il comma 8 stabilisce che le operazioni di rinnovo urbano devono essere oggetto della più ampia partecipazione e concertazione.
Il comma 9 prevede che per le operazioni di rinnovo urbano, in aggiunta a quanto già previsto dall’art. 5 c. 9 del D.L. 70/2011 (cd Decreto Sviluppo) L. 106/2011 altre misure premiali ed incentivanti quali, ad esempio:
- riduzione delle imposte sugli immobili in relazione alla maggiore densità edilizia;
- premialità volumetrica utilizzabile anche in altre zone edificabili (probabilmente con indici ad edificabilità differita)
Il comma 10 prevede la costituzione da parte dei comuni di un patrimonio di aree dove realizzare alloggi temporanei atti ad ospitare i proprietari (e presumibilmente anche gli inquilini-affittuari) degli immobili oggetto di intervento di rinnovo urbano. Tale patrimonio rimarrà poi nelle disponibilità del comune anche per altre finalità comunque sempre legate alle operazioni di rinnovo urbano (comma. 11)
Il promotore delle operazioni di rinnovo, munito di apposita delega da parte dei privati proprietari (comma 12), può stipulare con gli stessi contratti di vendita / permuta totale e parziale degli immobili oggetto di intervento (comma 13).
(Commento)
Si tratta di un articolo molto innovativo, non tanto per i principi di “rinnovo urbano”, “rifunzionalizzazione, valorizzazione e recupero del patrimonio e del tessuto esistente”, “ripristino ambientale e paesaggistico delle aree degradate”, spesso già usati (e abusati) in passato, quanto per i contenuti dei commi 8 let. a) e 10
Il co. 8 lett. a) precisa che: “le imposte che gravano sugli immobili sono commisurate all’indice di densità edilizia di cui all’ art 5 comma 6, con una progressiva riduzione per le zone di maggiore densità edilizia”. Si tratta forse delle tanto auspicate no-tax-area di cui si è detto in precedenza? Sarebbe interessante capire col termine imposte cosa si intende. Se non fossero limitate alle sole imposte comunali tradizionali (ex ICI, IMU, ecc) ma estese anche ad altre tipologie (per esempio IVA, IRPEG, IRPEF. IRAP, ecc) probabilmente sarebbe davvero un ottima incentivazione ad intervenire in quelle aree identificate come “degradate” in quanto, a fronte di un maggior costo di recupero e trasformazione, vi sarebbe un ritorno – immediato! – nel pagare meno tasse.
Il c. 10 10. introduce l’opportunità concreta per i comuni di dotarsi di “un patrimonio di aree, nella loro disponibilità o derivanti da perequazione e compensazione, dove realizzare alloggi per esigenze temporanee o definitive per i proprietari degli immobili oggetto delle operazione di rinnovo urbano”.
(Proposte di modifica)
La riduzione (e perché no l’esenzione?) delle imposte prevista dal c. 8 lett. a) dovrebbe essere estesa, salvo fraintendimenti, a tutte le imposte gravanti su tutte le operazioni e su tutti gli operatori che decidono di operare in aree oggetto di rinnovo urbano (rinominabili anche no-tax-area). Ciò al fine di incentivare concretamente il recupero e favorire l’insediamento di attività commerciali e produttive, in linea anche coi principi delle “dotazioni territoriali minime” laddove si cita all’art. 6 c. 2 let. f) il “sostegno dell'iniziativa economica in coerenza con l’utilità sociale e la sicurezza del lavoro; 
il patrimonio di aree non dovrebbe essere limitato ai soli interventi di rinnovo urbano ma dovrebbe essere esteso a tutti gli interventi previsti e gli alloggi ivi realizzati non solo destinati agli abitanti delle aree oggetto di rinnovo ma a chiunque ne abbia necessità. Si concretizzerebbe così la vera risposta alla casa inseguita in Italia da oltre un secolo.
Art 17 (Attuazione delle politiche di rinnovo urbano)
1. Nella predisposizione e nell’attuazione delle operazioni di rinnovo urbano, i Comuni favoriscono forme di concertazione tra operatori pubblici e privati attraverso procedure di evidenza pubblica aperte a tutti i soggetti interessati.
2. Nel caso in cui negli ambiti da assoggettare a rinnovo siano presenti immobili di proprietà privata ovvero appartenenti al patrimonio disponibile di altri Enti pubblici, ritenuti necessari per l’attuazione degli interventi, in luogo delle procedure di cui al comma precedente, il Comune attiva procedure negoziali con i proprietari.
3. Nell’ipotesi di cui al comma 2, il concorso dei proprietari rappresentanti la maggioranza assoluta del valore degli immobili in base all’imponibile catastale, ricadenti nelle operazione di rinnovo urbano, è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione al Comune delle proposte di realizzazione degli interventi e del relativo schema di convenzione ai sensi del comma 5 dell’art. 27 della legge 1 agosto 2002, n. 166.
4. Qualora i proprietari, a seguito di diffida, non partecipino alle operazioni di rinnovo e non abbiano aderito alla formazione del consorzio, l’immobile potrà essere assoggettato alle procedure espropriative. A tal fine, il Comune fissa un termine non superiore a novanta giorni, decorso infruttuosamente il quale, il consorzio consegue la piena disponibilità degli immobili, promuovendo direttamente la procedura espropriativa a proprio favore degli immobili dei proprietari non aderenti.
5. L’indennità di esproprio posta a carico del consorzio deve corrispondere al valore venale dei beni espropriati diminuito degli oneri di urbanizzazione stabiliti in convenzione ai sensi del comma 5 dell’articolo 27 della legge 1 agosto 2002, n. 166. L’indennità può essere corrisposta anche mediante permute di altre proprietà immobiliari site nel Comune.
6. Nel caso in cui non sia stata raggiunta la maggioranza di cui al presente articolo o non sia stata raggiunta un’intesa con i soggetti interessati, il Comune attua le procedure di evidenza pubblica aperte a tutti i soggetti interessati a parteciparvi.
(Principi)
L’art. definisce le modalità di attuazione del rinnovo urbano.
I primi quattro commi precisano come le operazioni di rinnovo urbano debbano essere precedute da forme di pubblicità e partecipazione pubblica. Nel caso di una pluralità di soggetti privati proprietari degli immobili al fine di costituire i consorzio per la presentazione dell’istanza basta la maggioranza assoluta del valore catastale degli immobile (comma 3).
Le proprietà dei non aderenti saranno assoggettati a procedure di esproprio similmente a quanto già avviene per i piani urbanistici attuativi.
Il comma 5 introduce forme alterative di corresponsione dell’indennità espropriativa. In luogo di denaro possono essere corrisposti permute di altre proprietà immobiliari siti nel medesimo comune.
(Commento)
Nell’articolo ai fini della costituzione del consorzio (art. 17 c. 3) per operare la trasformazione urbanistica non vi è alcun riferimento a parametri stereometrici (per esempio superfici, volumi, ecc.) ma esclusivamente al valore catastale. Ciò significa, nel caso di aree interessate sia da edifici che libere, che un singolo proprietario di un edificio (normalmente con rendita maggiore di un terreno inedificato) pur non possedendo la maggioranza assoluta dell’area potrebbe, detendo la maggioranza del valore catastale, costituire da solo il consorzio.
(Proposta di modifica)
Accanto alla maggioranza assoluta del valore catastale si potrebbe aggiungere, in alternativa, la maggioranza assoluta delle superfici territoriali/fondiarie interessate, onde evitare inceppamenti del processo di trasformazione urbana.
La previsione di forme alternative all’esproprio tramite indennizzo ovvero il ricorso alla permuta con proprietà del comune (c. 5) dovrebbe essere la regola e non l’eccezione (come probabilmente sarà), al fine di evitare che la trasformazione urbana pesi sulle casse del Comune. Per assicurare un bilancio “a favore” del comune le aree date in permuta dovranno derivare da precedenti operazioni di trasformazione urbana (per esempio aree cedute a seguito di perequazione, compensazione, ecc.).
Art. 18 (Edilizia residenziale sociale. Qualificazione del servizio)
1. L’edilizia residenziale sociale comprende tutti gli interventi di edilizia residenziale pubblica e privata (edilizia residenziale pubblica sociale: ERPS, edilizia residenziale sociale: ERS) diretti alla realizzazione di alloggi sociali, così come definiti dall’art. 1 del DM Infrastrutture n. 32438 del 22 aprile 2008, realizzati da soggetti pubblici e privati. Tali alloggi concorrono ad assicurare il diritto sociale all’abitazione a favore degli individui e dei nuclei familiari che non sono in grado, anche per situazioni di disagio economico e sociale, di accedere al libero mercato, ovvero che hanno esigenze abitative collegate a particolari condizioni di lavoro o di studio. Sono compresi nella definizione di alloggio sociale, per le finalità di cui al presente articolo, anche gli interventi edilizi in locazione permanente e temporanea, nonché in proprietà.
2. Per alloggio sociale si intende l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di riduzione del disagio abitativo per individui e nuclei familiari in difficoltà che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato per l’assenza di un’offerta adeguata o commisurata alle situazioni di disagio economico e sociali.
3. L’alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale. Tale sistema è ispirato da principi di sostenibilità ed è costituito dall’insieme organico e strutturato di alloggi e servizi abitativi e di prossimità, di azioni e strumenti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare le esigenze primarie.
4. La finalità del sistema di edilizia residenziale sociale è di migliorare la condizione delle persone, favorendo la formazione di un contesto abitativo dignitoso e dinamico all’interno del quale sia possibile, non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma anche creare relazioni umane coese e costruttive.
5. Le Regioni sentiti i Comuni, individuano le categorie sociali a cui sono destinare gli interventi di edilizia residenziale sociale.
6. Il servizio di edilizia residenziale sociale viene erogato da operatori pubblici e privati prioritariamente tramite l’offerta di alloggi in locazione alla quale va destinata la prevalenza delle risorse disponibili, nonché il sostegno all’accesso alla proprietà della casa, perseguendo l’integrazione delle diverse fasce sociali, che potrà essere favorita dalla presenza di un equilibrato mix di funzioni.
7. Le azioni di politica sociale e assistenziale integrano il servizio di edilizia residenziale sociale e concorrono al miglioramento delle condizioni di vita, di relazione e di inserimento nel contesto sociale e nel mondo del lavoro.
8. L’edilizia residenziale sociale è un servizio, erogato da operatori pubblici e privati, di interesse economico generale, che si determina come standard aggiuntivo, attraverso l’offerta di “alloggi sociali” in locazione e in proprietà.
(Principi)
L’art. è dedicato ad un tema presente nel panorama urbanistico da diversi decenni: l’edilizia sociale. L’articolo descrive le modalità di formazione delle risposta alla domanda di edilizia sociale e le forme di intervento.
(Commento)
Senza dubbio un articolo dagli elevati contenuti. Il problema, cosi come accaduto in passato, sarà quello di capire come arrivare ad assicurare “una casa per tutti.” Escluso l’intervento pubblico per la realizzazione di alloggio sociali (le esperienze passata, dall’INA casa agli IACP, ai PEEP, agli ATER, ecc. sono miseramente naufragati tant’è che quasi tutti i comuni hanno negli anni venduto non solo gli immobili ma pure i diritti di superficie!), l’unica risposta può arrivare, manco a dirlo, dall’intervento del privato. Ovviamente l’imprenditore dovrà trovare una giusta remunerazione per la sua attività oltre ad una adeguata incentivazione. La attuali modalità incentivanti quali cubature aggiuntive o scomputo degli oneri di urbanizzazione, non sono più appetibili. Meglio il ricorso a incentivi massicci come detassazioni forti per quegli interventi volti alla soddisfacimento dell’alloggio sociale.
Alta questione la definizione dei soggetti cui spetta l’accesso all’alloggio sociale (locazione/proprietà). I soli indicatori economici potrebbero non bastare ma anche gli indicatori sociali spesso risultano fuorvianti, per via dei diversi stili di vita, soprattutto di immigrati provenienti dal cd terzo mondo che tendono ad assumere usi e costumi diversi da quelli tradizionali italiani (elevato numero di figli, condizioni di vita medio/basse, lavoro nero, ecc.).
(Proposta di modifica)
Il diritto all’abitazione dovrebbe essere associato, in primis, alla cittadinanza.
Art. 19 (Edilizia residenziale sociale. Principi e forme di incentivazione)
1. Le politiche abitative pubbliche dirette alla programmazione, regolamentazione, realizzazione e gestione degli alloggi sociali, favoriscono il coinvolgimento degli soggetti pubblici e privati, anche del terzo settore, sulla base del principio di sussidiarietà.
2. Gli interventi realizzati da soggetti privati, individuati tramite procedure di evidenza pubblica, sono regolati da procedure di accreditamento dei soggetti stessi, ovvero da apposita convenzione, che disciplinino l’asservimento degli alloggi e le modalità di gestione, sulla base della normativa regionale o di strumenti di pianificazione territoriale locale.
3. Ai fine di garantire l’equilibrio economico-finanziario delle iniziative, il sistema di edilizia residenziale sociale, può avvalersi di specifiche modalità operative di sostegno ai promotori, coerentemente con quanto già previsto all’ art 11, comma 5 del legge 133/2008, quali:
a) il trasferimento o incremento premiale di diritti edificatori, a compensazione della realizzazione e gestione di alloggi sociali, di standard urbanistici, di miglioramento della qualità urbana;
b) la riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri connessi al permesso di costruire;
c) la cessione di diritti edificatori quale corrispettivo per la realizzazione e cessione al Comune di alloggi sociali;
d) riduzione o annullamento dei corrispettivi per l’assegnazione delle aree da parte degli enti pubblici, specie se queste sono acquisite a titolo gratuito, ovvero mediante l’istituto della cessione compensativa;
e) esenzione o riduzione delle tasse comunali sugli immobili;
f) esenzione dal contributo commisurato al costo di costruzione, equiparando tali interventi a quelli di edilizia residenziale pubblica nell’ambito dei Piani di zona di cui alla legge 167/62;
g) applicazione di un’aliquota forfettaria ridotta sulla base imponibile dei redditi derivanti dai canoni degli alloggi in affitto;
h) costituzione di fondi immobiliari destinati all’incremento dell’offerta abitativa ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale per l’acquisizione e realizzazione di immobili residenziali;
i) promozione da parte dei soggetti privati di interventi ai sensi della parte II, titolo III del D.lgs . n. 163/2006;
l) agevolazioni amministrative e forme di garanzia in favore di soggetti pubblici e privati per la realizzazione e la gestione di alloggi ai sensi del comma 1, con particolare riferimento al rischio di insolvenza nel pagamento dei canoni di locazione.
4. Per tutti gli interventi di edilizia residenziale sociale si applica la riduzione o l’esonero dal contributo di costruzione secondo quanto stabilito per i corrispondenti interventi di edilizia residenziale pubblica ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
5. La realizzazione di alloggi sociali può avvenire anche attraverso lo strumento del permesso di costruire in deroga, ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n.380.
(Principi)
L’art. specifica quali sono gli incentivi corrisposti ai privati al fine di realizzare gli interventi di edilizia sociale. Le agevolazioni vanno dal “classico” scomputo del contributo di costruzione ai più innovativi esenzione e riduzione delle tasse comunali sugli immobili e alla riduzione delle imposte sui redditi da affitto.
Il comma 5 prevede che gli interventi di edilizia sociale possano essere realizzati attraverso il Permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del D.P.R. n° 380/01.
(Commento)
Come già anticipato il ricorso agli incentivi quali scomputo del contributo di costruzione per incentivare la realizzazione di alloggi sociali e più generalmente interventi di trasformazione urbana non è più sufficiente. Uno spiraglio sembra aprirsi con la riduzione/esenzione delle tasse comunali sugli immobili. Ma anche in quest’ultimo caso il beneficio economico non sembra compensare l’investimento o comunque incentivare l’imprenditore ad intervenire.
(Proposta di modifica)
Al fine di rendere appetibile la realizzazione di interventi di trasformazione sarebbe opportuno estendere anche agli interventi di edilizia sociale le esenzioni previste per gli interventi di rinnovo urbano (a condizione che siano su tutte le imposte, comunali e non).
Art. 20 (Semplificazioni in materia edilizia)
1. Il Governo - previa intesa in sede di Conferenza Unificata, ai sensi dell’art. 8, comma 6 legge n. 131 del 2003 - è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo di riordino e semplificazione delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia di cui al d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
i) semplificazione e razionalizzazione della disciplina dei titoli edilizi;
ii) riorganizzazione dello Sportello Unico dell’edilizia e dei procedimenti relativi;
iii) riordino della normativa tecnica sulle costruzioni e sui prodotti da costruzione.
(Principi)
L’art. è dedicato all’introduzione delle semplificazioni in materia edilizia da adottarsi entro 6 mesi dalla entrata in vigore della legge.
(Commento)
Demandando tutto ad un successivo decreto legislativo l’art. non contiene nulla di concreto
(Proposta di modifica)
L’art. non ha contenuti precisi, essendo tutto demandato al successivo decreto legislativo. Auspicabile, per una vera semplificazione, sarebbe la riduzione dei titoli abilitativi (permesso di costruire, denuncia di inizio attività, segnalazione certificata di inizio attività, autorizzazioni in deroga, ecc.) e le procedure amministrative.
 
A cura di:
Daniele Rallo, VicePresidente Associazione Nazionale Urbanisti, Pianificatori Territorialii e Ambientali - AssUrb -, urbanista libero professionista, 
Luca Rampado, Consigliere Associazione Nazionale Urbanisti, Pianificatori Territorialii e Ambientali - AssUrb -, urbanista libero professionista - dipendente pubblico part-time.