"Dalle distanze strumento della pianificazione fino al primato della pianificazione" - Massimo Gronich

Il problema posto dal dover stabilire un regime di distanze quale strumento orientato ad evitare intercapedini nocive o problematiche di varia natura (coni d'ombra, preclusioni di visuale, immissioni moleste) risale fin dall'origine nella storia dell'urbanistica, prima ancora che essa fosse minimamente codificata, addirittura dai remoti tempi di Roma antica e forse dalle prime trasformazioni territoriali della mezzaluna fertile.


L'Urbanistica o l'impulso di positivo riordino che di seguito ha creato questa disciplina ha quindi, anche ancestralmente, affrontato, ponderato e poi risolto questioni fondamentali per l'organizzazione sociale e territoriale.
A ben vedere tale argomento costituisce un elevato momento di riflessione e di fusione tra le concezioni tecniche pianificatorie e la visione giuridica della disciplina dei diritti e della tutela degli interessi.
Per quanto attinente il profilo meramente tecnico, infatti, si intendono necessariamente tra l'altro, quali attività di pianificazione, oltre alle valutazioni ambientali anche attività meno apparenti e forse più materiali, in ordine alle quali il Pianificatore deve potersi esprimere, ma non per questo prive di importanza, quali ad esempio:
  • la comprensione e la rilevazione del paesaggio;
  • l'analisi di un luogo e la sua storia, anche ai fini dello sviluppo sostenibile;
  • la verifica teleologica delle esigenze della committenza, sulla base della mobilità ecc.;
  • la gestione della rappresentazione grafica;
  • l'analisi e la progettazione degli spazi per un'effettiva fruibilità.
Non a caso, quindi, considerata l'importanza della materia, il codice civile pone a fondamento di molte norme (sezione sesta) statuizioni di comportamenti di natura pianificatoria, per le quali ci si aspetterebbe un autorevole apporto professionale laddove:
  • l'art. 873 disciplina le distanze nelle costruzioni, prevedendo che esse debbano trovarsi aderenti o a distanza minore di tre metri, salvo distacco maggiore stabilito dai regolamenti locali;
  • l'art.877 prevede la costruzione in aderenza;
  • l'art. 878 classifica il muro di cinta, se alto più di tre metri come oggetto del rispetto di distanze;
  • l'art.879 classifica gli edifici non soggetti all'obbligo delle distanze;
  • l'art. 887 regola i fondi a dislivello e specifica la ripartizione delle spese ;
  • l'art. 892 disciplina le distanze per gli alberi (0,50 mt., 1,50 mt. e 3,00 mt. a seconda dell'altezza e della specie).
Alla sezione settima il codice civile dispone in ordine alle specie di finestre, imponendo le relative distanze.
Compete ai Pianificatori, prima che ad altre categorie, l'individuazione delle corrette fattispecie sopraindicate e la precisa modalità operativa per le giuste rilevazioni ai fini pianificatorii.
Se la legge riconosce la necessità dell'obbligo delle distanze, significa che motivi sociologici, igienici ed estetici impongono precise cure in tal senso.
La regolazione dei fondi a dislivello è importantissima anche al fine di prevenire problematiche di dissesto altrimenti più che probabili se affidate alla sola economia.
La disciplina delle distanze del verde non appare secondaria, attesi gli obblighi di individuazione ed elencazione nelle aree ad esso destinate, e nelle zone filtro tra differenti zone territoriali.
Non è sufficiente, infatti, limitarsi a mere operazioni metriche se non vi è cognizione del perchè esse debbano avvenire, a tutela di cosa e per quale scopo, in quanto la funzione della pianificazione è certamente apicale rispetto alle tecniche operative, dovendo assolvere al miglior concorso tra di esse.
A riprova nessuna norma successiva nelle materie sopra elencate, a partire dal D.M. 1444/1968 e fino alle pronunzie della Suprema Corte, prescinde dalla visione equilibratrice dell'Urbanistica che diviene dinamica, come risulta dai molteplici Regolamenti comunali che estendono le misure minimali previste dalle fonti giuridiche e di qui, passando dalle normative sulla disabilità fin dal D.M. 236/89, fino al Testo Unico dell'Edilizia D.P.R. 380/2001 e al recente “Piano Casa” secondo processi evolutivi articolati e non semplificabili oltre misura.
Se si è stabilito, quindi, un assioma per il quale la Pianificazione concretizza in sé stessa le operatività derivanti dal raccordo tra il diritto e la tecnica edilizia, non appare comprensibile come non sia automaticamente acquisito al patrimonio culturale e professionale quanto costituente attività contenuta all'interno di tale cornice.
E' quindi urgente aprire dibattiti diretti a determinare ampi spazi normativi al fine di consentire alla società di comprendere la funzione dell'Urbanistica e della Pianificazione, per poter e dover ricorrere al Pianificatore quale professionista deputato all'apprezzamento e coordinamento delle attività progettuali e tecniche, altrimenti rischiando, in tempi di crisi, ulteriore dissipazione di energie, diseconomie e sprechi di territorio in una ormai frammentata e obsoleta visione d'insieme priva di un disegno complessivo, nella quale il “mattone”, anche se sgradevole, prosegue a considerarsi arbitrariamente quale elemento primario rispetto ad ogni altro eticamente superiore.