AA.VV., "Diritti in città: gli standard urbanistici in Italia dal 1968 ad oggi"

(di Daniele Rallo)

Gli standard urbanistici è uno dei temi della trilogia classica (1)  con cui venivano costruiti i piani, assieme al dimensionamento e allo zoning, della prima famiglia di strumenti urbanistici, dal dopoguerra agli anni 80 circa. Il dimensionamento degli standard (la ragioneria urbanistica) rimane però ancora in alcune Regioni, soprattutto meridionali, uno degli elementi di valutazione del progetto di piano. Nonostante siano da stati dichiarati superati ed obsoleti rimangono tutt’ora vigenti (2) e tutte le leggi regionali di “governo del territori” le hanno confermati anche se con modalità diverse. Per esempio la recente legge urbanistica (n. 24/2017) della Emilia Romagna da una parte rimanda tout-court al D.M. del 1968, dall’altra specifica che il piano deve essere dimensionato su 30 mq per abitante “effettivo”, cioè “reale” contro il “teorico o equivalente” (100 mc).

Il testo in questione rilegge la vicenda degli standard come caposaldo della trasformazione della “città pubblica” e della dotazione di servizi intesi come beni comuni o, in altra allocuzione, di capitale fisso sociale. Ad oltre mezzo secolo dalla emanazione del Decreto Ministeriale si possono tirare dei bilanci. La città pubblica con la dotazione di standard si può dire raggiunta anche oltre al minimo fissato per legge in tutte le città medio-grandi, salvo rare eccezioni. Anche prendendo in considerazione le singole voci in cui è suddiviso il D.M. (scuole, attrezzature comuni, parco e sport, parcheggi) si può affermare che siano tutte soddisfatte.
Anche spostando la visione dalla quantità alla qualità si può affermare che gli interventi realizzativi hanno una prospettiva architettonica e paesaggistica di medio-alto livello. Sono soprattutto gli spazi aperti che sono oggetto di riqualificazione, risistemazione, abbellimento e attenzione alla percezione sensoriale.

Uno dei saggi proposti dal libro si concentra soprattutto sulle aree/spazi legati alla mobilità attiva (3). Munarin e Tosi mettono in correlazione gli spazi della mobilità con il progetto di suolo nella accezione secchiana.  Sono spazi e aree che molto spesso sono considerati gli spazi dello “scarto” e che devono essere riprogettati e portati ad un nuovo “dimensionamento”.  Sono spazi spesso legati ad un materiale povero e nocivo: l’asfalto. Condito con altrettante “brutture” quali aiuole spartitraffico, guard-rail incolori, marciapiedi con cordoli banali, alberi dal diametro improbabile, piste ciclabili solo d’asfalto, ecc.. Non è un bel vedere, è uno “sciattume”.
Munarin propone giustamente di mettere al centro dei concetti su cui sviluppare il progetto “non solo ragionare sui quindici minuti a piedi” dell’utilizzo della città e dei suoi servizi ma anche “mettere al centro del ragionamento i concetti di confort, di sicurezza, piacevolezza” soprattutto “per quanto riguarda lo spazio pubblico ciclo-pedonale …”.  La scelta di muoversi a piedi o in bicicletta infatti “non è legata sempre e solo alla distanza” o al tempo ma anche “alla valutazione dello spazio che attraverseremo”.
Riprogettare le sezioni stradali, risagomare la careggiata, togliere asfalto e inserire materiale permeabile o verde erborato e alberato è un nuovo modo di ripensare lo spazio. Spazio dove l’automobile deve essere costretta a diminuire la velocità, ad avere parcheggi defilati e nascosti e le strade, quelle di quartiere, che devono ritornare al cittadino-utente debole. Ridurre l’asfalto significa ridurre le isole di calore, de-sigillizzare il terreno, aumentare la percolarità. Inserire alberi e verde in genere significa creare spazi temperatura gradevole. Significa incrementare la permeabilità del terreno e lo scolo delle acque.
E’ un grande progetto di suolo che si deve collegare alla reti verdi e blu, ai parchi cittadini che si coniuga con la gradevolezza degli spazi, la sicurezza idraulica, la percezione di benessere. Munarin conclude che incorporare nel progetto di città le questioni del progetto di suolo richiede di emancipare gli spazi aperti di standard affinché contribuiscano a garantire prestazioni minime: di sicurezza idraulica, di riduzione dell’inquinamento, di attenuazione delle isole di calore, di forestazione urbana in modo da assicurare  libertà di movimento senza l’ausilio di mezzi a motore “in sicurezza e financo piacevolmente”.


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(1) P. Gabellini, Tecniche urbanistiche, Carocci ed., 2001; P. Gabellini, Fare urbanistica, Carocci ed. 2010.
(2) D.Rallo, L. Rampado,  Dm 1444/68: 50 anni ma non li dimostra (??), in Urbanistica Informazioni n.278-279, 2018
(3) Tra servizi ecosistemici e mobilità attiva: gli standard come progetto di suolo, di Maria Chiara Tosi e di Stefano Munarin, urbanisti della Scuola di Astengo (oltre che grandi appassionati di tour ciclistici).