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Lauree abilitanti vs smantellamento Ordini (forse)

Daniele Rallo, Luca Rampado e Markus Hedorfer – UI n. 295 – gennaio-febbraio 2021

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Con il Governo Conte-Due si è iniziato a prendere in seria considerazione l’abolizione dell’esame di stato con la sostituzione del riconoscimento delle lauree abilitanti.

Si è iniziato con il provvedimento di marzo 2020, in piena pandemia, che per accelerare l’ingresso dei laureati in medicina nel comparto della sanità è stato emanato un provvedimento (art. 102 DL 18/2020, diventato Legge 27/2020) che ha sancito l’abolizione dell’esame di Stato facendo diventare la laurea abilitante all’esercizio della professione.

A ottobre 2020 il Ministro dell’Università (G. Manfredi) ha presentato un Disegno di legge riguardante “Disposizioni in materia di titoli universitari abilitanti” (C. 2751) che amplia ad altre lauree il concetto di titolo abilitante. Il disegno di legge è stato ripreso tout-court dal Governo Draghi che ne ha rapidamente calendarizzato il suo prosieguo.

Il Presidente Draghi lo ha assunto come impegno prioritario inserendolo anche all’interno del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Nel capitolo dedicato alla Missione 4 “Istruzione e Ricerca” uno specifico comma definisce l’obiettivo-Riforma 1.6 che “prevede la semplificazione delle procedure per l’abilitazione all’esercizio delle professioni rendendo l’esame di laurea coincidente con l’esame di stato, con ciò semplificando e velocizzando l’accesso al mondo del lavoro” (pag. 183).

Il DdL C. 2751 ne rappresenta la corretta interpretazione.

A maggio 2021 era già in fase istruttoria e di valutazione degli emendamenti nelle Commissioni, che hanno concluso il proprio lavoro il 17 giugno. L’Assemblea ha inserito alcune ulteriori modifiche e lo ha approvato il 23 giugno. Mentre scriviamo è iniziato l’esame nelle Commissioni al Senato, dove è identificato con la sigla S. 2305.

Il disegno di legge prevede che determinate lauree diventino con l’approvazione dello stesso direttamente abilitanti. Altre lauree invece, con un ulteriore iter procedurale, lo possono diventare in seguito con successivo provvedimento.

Fanno parte del primo gruppo (art. 1) le lauree magistrali a ciclo unico di Odontoiatria, Farmacia, Veterinaria, Psicologia che si vanno ad aggiungere alla laurea magistrale in Medicina e Chirurgia. Si tratta di professioni che riguardano una materia di preminente interesse pubblico: la salute umana.

Fanno parte del secondo gruppo (art. 2) le professioni tecniche che accedono al titolo di geometra, agrotecnico perito agrario e perito industriale conseguito attraverso la laurea triennale o il diploma di scuola secondaria.

Architetti e Pianificatori

Ma il DdL C. 2751 prevede (art. 4) anche ulteriori titoli universitari abilitanti. Nella versione iniziale, poi emendata in Commissione e in Assemblea, si trattava di alcune professioni vigilate dal Ministero di Giustizia che il progetto di norma elencava esplicitamente. Tra queste le lauree in Pianificazione, in Paesaggistica e in Conservazione. Erano escluse da questo elenco la laurea in Architettura e quella in Ingegneria per le quali rimaneva valido l’esame di Stato. Non era chiara questa esclusione né si comprendeva perché le prime non potessero essere rese immediatamente abilitanti senza ulteriore trafila burocratica.

Tutte queste professioni sono di preminente interesse pubblico al pari di quelle sanitarie o, forse, in un gradino più basso. Anche se la pianificazione che riguarda la salvaguardia del bene comune territorio e la salvaguardia dell’ambiente è de facto di preminente interesse pubblico.

In sede di esame alla Camera ci si è evidentemente resi conto della non linearità del ragionamento per cui una delle quattro professioni organizzate nell’Ordine degli APPC veniva esclusa. Eliminato l’elenco, peraltro formulato in modo da lasciare dubbi interpretativi sulla natura di talune professioni, la fattispecie delle lauree/professioni interessate dall’art. 4 è stata riformulata in base a un principio: “ulteriori titoli […] che consentono l’accesso all’esame di Stato […] per il quale non è richiesto lo svolgimento di un tirocinio post lauream”. Quindi anche la laurea in architettura può ora essere resa abilitante all’esercizio della professione (di architetto), ripristinando in questo modo i binari paralleli delle quattro professioni dell’Ordine.

Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori sono tuttavia rimasti nel “terzo gruppo”, in quanto non sono stati accolti nel primo o nel secondo gruppo né è stata formulata una norma ad hoc, come per chimici e biologi (art. 5, già compresi nell’elenco dell’art. 4 della prima versione del DdL), fisici (art. 5, non menzionati del tutto nella prima versione) e psicologi (art. 7, citati anche nel “primo gruppo” dell’art. 1).

Può anche essere utile — soprattutto nell’ottica di uno sguardo “laterale” sulla proposta di riforma della professione avanzata a marzo del 2020 dal CNAPPC — sottolineare in questa sede come l’art. 4 non è limitato alle sole lauree magistrali, come lo sono l’art. 1 (professioni mediche) e l’art. 5 (chimici, fisici e biologi), nonché l’art. 3, che invece si riferisce alle sole lauree professionalizzanti. Possono essere resi abilitanti in egual misura tutti i titoli universitari — magistrali o triennali — rientranti nella definizione dell’art. 4.

Rappresentatività

La proposta di legge prevede che per le professioni di questo “terzo gruppo”, di cui facevano e fanno tuttora parte quelle di Pianificatore, Paesaggista e Conservatore, venga emanato un Regolamento da parte del Ministero dell’Università di concerto con quello della Giustizia (vigilante dell’Ordine APPC) su “richiesta dei consigli dei competenti ordini professionali o delle relative federazioni nazionali” (formulazione al comma 1 della versione iniziale del DdL).

Questo rappresentava il primo inghippo, la prima contraddizione del percorso proposto dal DdL. L’Ordine degli APPC non è rappresentativo delle tre professioni citate. Nonostante tali professioni siano all’interno dello stesso Ordine, queste, per una legislazione obsoleta ma non modificata, non sono rappresentate entro i Consigli Provinciali né nella Federazione nazionale. Cioè non sono salvaguardate le “minoranze”. È un problema che il progetto di legge non si poneva. Gli urbanisti, ma anche i paesaggisti, hanno creato da decenni delle libere Associazioni per salvaguardare la rispettiva posizione professionale. L’ASSURB è quella che per prima si è costituita (1977) e che ha la storia più lunga (1). Al contempo l’Istituto Nazionale di Urbanistica è sicuramente più rappresentativo dell’Ordine degli APPC per la professione di urbanista. Il disegno di legge però non tiene in considerazione questo aspetto anche se nella relazione allegata (Dossier n. 425 – Schede di lettura) si fa esplicito riferimento alla normativa del 2001 (DPR 328) che ha riformato lo stesso Ordine APPC.

La domanda è lecita. Può un Ordine “degli architetti” permettere che una quota parte dei suoi iscritti possa non aver superato l’esame di stato?

L’ASSURB è intervenuta nella discussione parlamentare con un proprio corposo emendamento che intendeva superare questo e gli altri due inghippi di cui diremo tra breve. L’emendamento è stato respinto, ma crediamo che nella riformulazione del periodo citato sopra sia comunque sopravvissuto, sebbene in modo molto prudente, qualcosa della nostra segnalazione. Nella versione approvata dalla Camera dei deputati non si parla più di “consigli dei competenti ordini professionali” come unici soggetti deputati a richiedere che vengano rese abilitanti talune lauree, ma di “rappresentanze nazionali” — termine utilizzato proprio nella nostra proposta di emendamento — che possono richiedere questo percorso, accanto allo stesso ministero. E anche questa è una novità importante che ridimensiona in modo significativo, almeno potenzialmente, il potere d’iniziativa degli ordini professionali a favore di organi dell’amministrazione dello Stato. Non vi è stato invece, come avevamo chiesto, un riconoscimento formale delle associazioni professionali.

Esame di laurea

Sempre con lo stesso Regolamento (comma 2) il DdL prevede come devono essere disciplinati gli esami finali e come deve essere composta la commissione giudicatrice. Questa deve essere “integrata da professionisti di comprovata esperienza designati dagli ordini”. Si tratta per entrambe le questioni di una ingerenza da parte dell’Ordine nella Accademia che è la sola che dovrebbe decidere sui percorsi formativi, sull’esame finale e sulla composizione della commissione giudicatrice (anche se un componente esterno è sempre stato previsto).

Le modifiche introdotte in Commissione e in Assemblea hanno in questo caso, se possibile, anche aggravato la situazione. È stato inserito un ulteriore comma (il 3 secondo la nuova numerazione) che impone in modo inequivocabile la “composizione paritetica delle commissioni giudicatrici dell’esame finale”. Quindi non soltanto “integrata”, ma in modo paritetico.

Il secondo inghippo.

Quali saranno i “professionisti di comprovata esperienza”? Difficilmente potranno essere scelti tra gli iscritti-architetti. Dopo l’approvazione del DPR 328/2001 gli architetti laureatisi con il “vecchio ordinamento” hanno potuto mantenere anche la professione di urbanista. Ma dopo il DPR l’iscrizione al settore “Pianificatori Territoriali” è permesso solo a coloro che hanno superato lo specifico esame di stato. Quasi nessuno l’ha fatto. E i “vecchio ordinamento” hanno, per ovvie ragioni, raggiunto il limite di età pensionabile.

La domanda è lecita. Accetterà l’Ordine di essere rappresentato nelle Commissioni Giudicatrici dai Pianificatori Territoriali?

Tirocinio e prova pratica

Il Regolamento dovrà anche disciplinare “la prova pratica” (comma 2) che sarà valutata contestualmente alla tesi. La prova pratica sembra essere la logica conseguenza del “superamento del tirocinio pratico valutativo interno ai corsi” (comma 2).

Terzo inghippo.

Non è chiaro se il tirocinio debba essere svolto all’interno dei corsi di laurea dagli stessi docenti o se possa essere svolto fuori università (interno al percorso formativo). Come da pratica attuale. Nel caso dei pianificatori: o in un ente locale o in uno studio professionale. La pratica attuale permette allo studente di avere un contatto immediato con il mondo del lavoro potenziale che gli si offre post-laurea. E di valutare se è più portato per il posto pubblico o per la professione libera.

Non sembra invece contemplata, nel percorso di formazione professionale, la possibilità che un laureato in urbanistica possa intraprendere altre vie, sempre più numerose nelle “nuove frontiere” della pianificazione, spesso profondamente diverse dal profilo “classico” che si snoda lungo o attorno alla strumentazione urbanistica. Oppure che possa voler intraprendere la carriera accademica, di ricerca o didattica (2). Qual è il tipo di tirocinio “pratico valutativo” in questi casi? Gli ordini professionali hanno competenza in materia di “nuove frontiere”? Il mondo dell’Accademia cosa ne pensa?

Conclusioni

Volendo essere ottimisti la nuova ipotesi di laurea abilitante potrebbe essere l’inizio dello smantellamento dell’Ordine. La trasformazione dell’Ordine in associazione volontaria in cui l’iscrizione non è obbligatoria. Diventa però prestigioso essere inseriti in un Ordine rappresentativo che addirittura garantisce la formazione universitaria. Un caso analogo è il Royal Town Planning Institute britannico. La stessa iscrizione alla Cassa di previdenza privata potrebbe diventare non obbligatoria. Lasciando liberi i professionisti di iscriversi a Inarcassa o all’Istituto di Previdenza nazionale coperto dallo Stato.

Volendo essere pessimisti la nuova legge si può risolvere in una “contro”-riforma che dà più potere alla “corporazione” degli architetti senza incrementare l’autorevolezza degli stessi.


Note

  1. Si veda Patrizia Gabellini, La lunga storia degli Urbanisti, in (a cura di) G. De Luca e D. Rallo, Cosa pensano gli urbanisti, INU Edizioni 2018.
  2. È interessante in questo contesto la caratterizzazione della professione di urbanista e pianificatore territoriale, soprattutto per quanto riguarda la discrepanza tra numero di laureati, abilitati e iscritti all’Ordine, che fanno Federica Bonavero e Claudia Cassatella nel loro articolo Il Pianificatore territoriale in Italia: alcuni dati su formazione e professione in una prospettiva internazionale, pubblicato sul numero 25 (dicembre 2020) della rivista online TRIA – Territorio della ricerca su insediamenti e ambiente all’indirizzo http://www.tria.unina.it.